Fondato a Racalmuto nel 1980

“L’indipendenza della magistratura non è fine a se stessa né tantomeno un privilegio”

“E’ attraverso l’indipendenza dei magistrati che possono affermarsi nuovi diritti per tutti i cittadini”.

Salvatore Filippo Vitello, Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma

Due temi, diversi ma connessi, che a mio avviso necessitano di essere trattati, come premessa allo svolgimento della descrizione delle realtà criminali del distretto e dell’operatività della Procura generale e degli uffici requirenti: L’indipendenza della magistratura intesa come indipendenza nell’interdipendenza; l’indipendenza della magistratura come controlimite alle recenti proposte di riforma costituzionale.

Il senso profondo dell’esistenza di un ordine giudiziario autonomo e indipendente da ogni altro potere, secondo il disegno costituzionale, è quello di garantire ai cittadini di essere trattati in modo effettivamente uguale davanti alla legge. Proprio per questo, il Consiglio superiore della magistratura è stato previsto in funzione strumentale alla garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e del magistrato. Il Ministro della giustizia, invece, è investito della responsabilità politica dell’amministrazione dell’apparato servente all’esercizio dell’attività giurisdizionale.

L’intento dei costituenti era dunque quello di una magistratura non completamente distaccata dal circuito della responsabilità politica per mezzo dell’attività ministeriale, controbilanciata dal CSM. L’obiettivo comune è, quindi, amministrare la giustizia secondo il principio di leale collaborazione, laddove la parola “collaborazione” evoca un rapporto tra soggetti pariordinati che sono chiamati a concorrere allo svolgimento di una o più funzioni. Una funzione pubblica viene attribuita alla cura di un soggetto da precise regole che definiscono i poteri, le responsabilità e i limiti di quel mandato.

Non abbiamo la libertà di decidere se dobbiamo fare ciò che è necessario fare per assolvere il nostro mandato. È nostro dovere farlo. Rassegnarsi a venirvi meno non è un’opzione accettabile. Ho descritto la nostra posizione con l’imperativo di “fare tutto ciò che dobbiamo entro il nostro mandato e per adempiere ad esso”. Ma il riconoscimento della latitudine e dei limiti di tale mandato comporta l’obbligo di esporre con chiarezza e di spiegare le opzioni disponibili sui temi attinenti l’esercizio della giurisdizione. Oggi ciò è più che mai necessario.

Si potrebbe descrivere l’indipendenza della magistratura come indipendenza nella interdipendenza. Intendo con ciò sottolineare che il contesto istituzionale nel quale operiamo influenza la nostra attività. È quindi doveroso valutare criticamente ed esprimersi con chiarezza sulle politiche in materia giudiziaria, anche indicando opzioni alternative, che potrebbero rendere più agevole e rapido il nostro compito.

L’indipendenza della magistratura non è fine a se stessa, né tantomeno un privilegio. E’ semplicemente una prerogativa attribuita ad alcuni (a certe condizioni, entro precisi limiti e sotto un costante controllo) perché possano garantire i diritti e le libertà di tutti. L’indipendenza dei magistrati è solo un mezzo attraverso il quale l’ordinamento pluralistico si evolve e si arricchisce nel confronto dialogico tra le parti (tra le quali l’avvocatura ha un posto di primo piano) e tra le corti nazionali e sovranazionali. E’ attraverso l’indipendenza dei magistrati che possono affermarsi nuovi diritti per tutti i cittadini (si pensi all’evoluzione della giurisprudenza sul danno non patrimoniale).

Cosa intendo, dunque, per indipendenza nell’interdipendenza? I magistrati esercitano e devono esercitare la loro giurisdizione in maniera indipendente, ma cosa avviene se le risorse assegnate per rendere il servizio giustizia non sono adeguate? Cosa avviene se manca la dotazione del personale amministrativo? Cosa avviene se le strutture non sono idonee? Se è l’Amministrazione centrale che dispone delle risorse, è evidente che l’esercizio indipendente della giurisdizione presuppone e richiede una interdipendenza e una leale collaborazione con gli altri poteri ed apparati dello Stato. E’ evidente che siamo su un terreno di confine, che richiede equilibri avanzati, nei quali l’indipendenza, quale prerequisito strutturale, è un valore che va difeso, per il quale occorre sempre vigilare. L’indipendenza intesa come potere diffuso di poter dissentire, motivando, nel rispetto della sola norma di legge, rifugge ogni tendenza a voler troppo uniformare e gerarchizzare e ad un’ottica burocratica nell’esercizio della funzione.

Ma in questo momento di grande e sempre maggior attenzione alle risorse e all’attuazione del PNRR, mi chiedo se vi siano e quali siano i limiti di contenimento della spesa pubblica al di sotto dei quali la qualità del servizio giustizia potrebbe risultare fortemente indebolita. Ancora una volta, la questione a monte è complessa: cosa è la qualità? Come si misura la qualità del servizio giustizia? Siccome la risposta a questa domanda non è semplice non possiamo rassegnarci solo alla logica dei numeri e delle statistiche. Tuttavia, ancora non siamo in grado di fornire a monte criteri univoci per valutare la qualità del servizio.

Lavoriamo in questa direzione. Domandiamoci cosa è per noi la qualità del servizio giustizia e cerchiamo criteri per definirla e, nella logica della leale collaborazione, confrontiamoci con le altre istituzioni dello Stato per stabilire quali debbano essere le risorse, al di sotto delle quali, la qualità è compromessa.

In definitiva, l’indipendenza della magistratura è una conquista di civiltà dello Stato di diritto che non può essere data per acquisita una volta per tutte. Su di essa è sempre bene vigilare e controllare che, nell’interdipendenza con gli altri poteri, non venga ad essere compromessa.

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Dall’intervento di apertura dell’anno giudiziario 2024 del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma Salvatore Filippo Vitello  

 

 

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