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La cucina siciliana tra storia e curiosità. Sarde a “beccafico”

Ecco come è nato questo famosissimo piatto

Antonio Fragapane

I nobili siciliani, tra il ‘700 e l’800, per il loro diletto erano soliti dedicarsi alla caccia di una particolare tipologia di uccelli, piccoli ma grassi al punto giusto e aventi una carne di cui gli aristocratici palati isolani erano ghiottissimi. Tali volatili, presenti nelle caldissime campagne degli immensi feudi, si cibavano principalmente di fichi, tanto da essere conosciuti, appunto, come Beccafichi. Gli esemplari cacciati, molto costosi, erano poi affidati alle sapienti mani dei monsù (i cuochi professionisti che gestivano le enormi cucine dei signori proprietari di ville e palazzi), i quali li preparavano farcendoli con carne, ma più spesso con le loro stesse interiora, arrostendoli alla brace e servendoli con le piume della coda rivolte verso l’alto, in modo tale da poter essere  più facilmente presi con le mani e consumati. La morbida carne bianca ben grigliata, unita al gustosissimo ripieno, fece sì che i Beccafichi diventassero in breve tempo una squisitezza tra le più ricercate e ambite sulle tavole dei nobili, che così mandavano letteralmente in visibilio i loro potenti e influenti ospiti.

Ma, ovviamente, il popolo siciliano non stette di certo a guardare e sognare un piatto che non avrebbe mai potuto permettersi, quindi, ecco aguzzare l’ingegno e la fantasia.

Il Beccafico venne sostituito dalle molto più economiche e comuni sarde (pesce azzurro “povero” ma ricco di gusto e proprietà sia organolettiche che alimentari), che venivano farcite con gli ingredienti a disposizione nelle piccole cucine dei quartieri popolari: pangrattato, aglio, prezzemolo, pinoli e uva passa. Da qui in poi, però, è un dedalo di varianti sia negli elementi utilizzati che nella modalità di realizzazione e cottura. Ma andiamo con ordine, sennò il labirinto potrebbe “inghiottirci”. L’elenco di ingredienti appena indicato è quello tipico della versione palermitana, in cui la singola sarda, dopo la farcitura, è arrotolata su se stessa in modo tale che la coda sia rivolta all’insù, chiaro omaggio ai Beccafichi di un tempo: ed ecco, quindi, spiegato il perché le sarde così cucinate siano chiamate “a Beccafico”. Dopo di che, disposte a tortiera, vengono infornate. Nel messinese, invece, il ripieno comprende anche i capperi e la cottura è eseguita tramite frittura. Nella variante catanese, si aggiunge pecorino o caciocavallo e le sarde non sono arrotolate ma sistemate a due a due, l’una sopra l’altra con in mezzo la farcitura, quindi impanate e fritte. Ultima versione, molto più recente e tipica in tutta l’isola, è quella di arrotolare le sarde farcite e unirle tra loro con un sottile spiedo in legno, alternando, tra i pesci, foglie di alloro e fette di limone, il tutto per un risultato “scenografico” (e gustativo) di assoluto impatto.

E giunti fin qui, secondo voi, abbiamo finito? Beh, ci dispiace deludervi, ma nella storia delle sarde “a Beccafico”, negli ultimi anni, è stato scritto un ulteriore capitolo, a dire il vero un po’ particolare: nientemeno che una versione vegetariana, per chiunque non possa (o non voglia) mangiare pesce, ma, allo stesso tempo, neanche privarsi di un piatto dal gusto eccezionale, conosciuto in tutto il mondo e, all’estero, oggetto di migliaia di imitazioni, spesso assolutamente scadenti. In che cosa, quindi, consisterebbe la versione vegetariana di una ricetta di pesce? Beh, nella preparazione della stessa ma con l’uso della eterna melanzana al posto della sarda: ingredienti e procedure di realizzazione sono gli stessi, identici, e il risultato vi sorprenderà.

Ma, come sempre, non confidate solo nelle nostre parole: mangiare per credere…

 

 

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