Fondato a Racalmuto nel 1980

Viva la Santuzza di Palermo e di… Sciascia

Il filo di storia e carità sacra e laica che lega la capitale siciliana e Racalmuto, di cui Rosalia è Patrona. Nei 400 anni dalla sconfitta miracolosa della peste, celebriamo anche un medico originario del centro dell’Agrigentino, decisivo nell’abbattere il contagio

Santa Rosalia di Racalmuto

A 400 anni dalla fine della peste, Palermo si prepara a ricordare il miracolo di Santa Rosalia che graziò la città dal morbo, dopo essere comparsa in sogno ad una malata e ad un cacciatore. Indicando loro la strada per ritrovare le sue reliquie. E chiedendo di portarle in processione. Dal 1624 echeggia infatti, soprattutto al Festino di metà luglio, un fragoroso “Viva Palermo, Viva Santa Rosalia”. Un binomio che, proprio nell’anniversario del quarto secolo, potrebbe essere dimezzato da echi della provincia di Agrigento. Almeno, da Racalmuto e Santo Stefano di Quisquina. Senza nulla togliere ai palermitani devoti. Ma ricordando pezzi di storia e di leggenda, insinuando dubbi perfino sul luogo di nascita e celebrando un medico da molti dimenticato.

RiepiloghiamoUfficialmente, la Santa nasce a Palermo il 4 settembre del 1130. Data ricordata non solo nella capitale, dove gli osservanti s’arrampicano lungo l’acchianata al santuario di Monte Pellegrino, ma anche a Racalmuto. Sia perché del paese di Leonardo Sciascia Santa Rosalia è la Patrona. Sia perché molti condividono la ricostruzione di un ingegnere con la passione della storia, Angelo Cutaia, autore di un recente testo dal titolo eloquente, “Santa Rosalia. Racalmutese e Pellegrina. Lui è certo che Rosalia Sinibaldi sia addirittura nata all’ombra del Castello chiaramontano, oggi circondato dalle parrocchie di Regalpetra. Nata e battezzata a Racalmuto. Come proverebbe la costruzione della prima chiesetta a Rosalia dedicata già nel 1208, ben prima del ritrovamento delle ossa sul costone del monte palermitano.

Per molti sarà una sorpresa apprendere di quest’asse Palermo-Racalmuto, ma non per studiosi come Salvatore Picone, neo presidente del Circolo Unione che Sciascia nei suoi libri chiamava “Concordia”. Picone, autore di un libro con Gigi Restivo, ricorda infatti che nel Seicento Pietro d’Asaro, il pittore indicato nei libri d’arte come “il Monocolo di Racalmuto”, pur orbo d’un occhio, dipinse una Santa Rosalia, un quadro che andò perso, e anche una Madonna della Catena dove, nell’allegoria celeste, spicca Rosalia. Una tela in mostra per i visitatori della Chiesa Madre. Prova di una devozione per la Santa che Cutaia presenta come “monaca basiliana di lingua e rito greco-siculo”, seppur declassata a suo avviso “dalla Chiesa di Palermo in semplice eremita laica”.

La vera gran festa, pagana e religiosa insieme, di Racalmuto è quella della Madonna del Monte, venerata forse più di Rosalia. Ma il ruolo di Patrona resta, come osserva Picone che dal 2005 ha promosso il ripristino dei riti del 4 settembre. Anche perché quell’anno il parroco che amava discutere con Sciascia, padre Alfonso Puma, ritrovò una pergamena del 1625 che attestava la veridicità delle reliquie di Rosalia custodite in un prezioso ostensorio.

Immagino i nasi storti di tanti lettori forse stupiti, ma è anche vero che questa giovane fanciulla, quando decide di allontanarsi dalla sua agiata famiglia, si avvicina al Cielo rifugiandosi, pare dal 1150 al 1162, in una grotta lungo le pendici di Monte Quisquina. In territorio di Santo Stefano Quisquina, sempre in provincia di Agrigento. Dove si trova la cappella costruita nel 1624 e l’eremo realizzato poi da un mercante genovese, Francesco Scassi, devoto al punto da investire tutto il suo denaro, fondando lì una congregazione indipendente di frati devoti a Santa Rosalia. E a Genova c’è pure un quartiere dove si venera la Santa.

Il Reliquiario di Santa Rosalia nella Chiesa Madre di Racalmuto

Non basta. I potenti di Racalmuto sono stati a lungo i Signori Del Carretto. Sarà un caso, ma il cardinale di Palermo Giannettino Doria, al quale si deve il riconoscimento delle ossa ritrovate nella grotta di Monte Pellegrino, era figlio della principessa Zanobia Del Carretto. E forse per questo, già il 31 agosto 1625, a Racalmuto approdò una teca con reliquie della Santa.

Non bastano spoglie, quadri, parentele. Perché nella sconfitta della peste ai miracoli di Rosalia si associano quelli terreni di un racalmutese, Marco Antonio Alaimo, protomedico del Regno, fondatore a Palermo nel 1621 dell’Accademia dei lastrofisici, cioè di anatomia, principale debellatore del contagio che combatté visitando personalmente gli appestati nelle loro case.

La fama di questo luminare echeggiò da Napoli, dove il viceré Enriquez de Cabrera gli offrì l’incarico di protomedico della città, a Bologna dove era pronta per lui la cattedra universitaria di medicina, rifiutata per restare a Palermo. Dove invece contribuì alla costruzione della Chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti. E dove fu poi tumulato sotto una epigrafe purtroppo smarrita a fine Settecento durante lavori di sistemazione. Smarrita come la traccia di un nome che fra i palermitani dovrebbe riecheggiare mentre si preparano processioni e luminarie, spettacoli e mostre, convegni e gran botti. Memoria da salvare rafforzando l’esile filo che ci porta a Racalmuto, visto che comunque per salvare Palermo un aiutino, forse più di un aiuto, da quel protomedico alla Santa e alla città arrivò.

Da “I Love Sicilia” – Aprile 2024

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