Fondato a Racalmuto nel 1980

Rita e quel bisogno di voce e di parole

Rita Atria, morire senza colpa alcuna a soli 17 anni. Avrei voluto stringerle la mano in quel 26 luglio del 1992.

Ho dormito con Rita, per mesi, per settimane. Con Rita, ovvero con il libro che hanno scritto su di lei e per lei, tre donne: Graziella Proto, Giovanna Cucé e Nadia Furnari. Ho avuto scolpito dentro il volto e gli occhi profondi di Rita, da quando ho con me il libro. Il suo sorriso appena accennato mi ha fatto compagnia nei miei giorni pieni di interrogativi sulla sua storia che giunge a me perché lei ha bisogno di voce e di parole, tutte quelle che ad un certo punto non ha potuto più dire.

Oggi Rita avrebbe poco più dei miei anni. Eppure in un folle volo, la sua vita si è fermata per sempre a 17 anni. Troppo presto, morire senza colpa alcuna a soli 17 anni. Ma il suo sguardo fiero, il suo carattere forte, il suo coraggio di giovane donna non sono morti su quel marciapiede in Viale Amelia. Un tonfo e quei sette piani sono implacabili assassini. Avrei voluto stringerle la mano in quel 26 luglio del 1992. Lo fa una perfetta sconosciuta, a cui va il mio grazie e il grazie di tutte le persone che non ci sono potute essere. La signora Lucia, corre giù dal suo appartamento. Si precipita sul corpo di Rita che rantola sull’asfalto rovente su una via qualsiasi della zona sud-est di Roma. Nessuno sa chi veramente sia, nessuno sa la sua storia. Nessuno dei suoi familiari può essere presente. Il padre è morto tanti anni prima, in un agguato mafioso. Il fratello a cui Rita era molto legata ha avuto la stessa implacabile sorte. La madre, la signora Giovanna ha scelto di restare a Partanna chiusa nella sua casa macchiata di sangue e orrore. La sorella Anna Maria, per scelta è andata a vivere lontano dalla Sicilia, insanguinata da una faida crudele e senza scampo tra cosche mafiose.

Non c’era nessuno accanto a Rita lì su quel marciapiede, mentre per le fratture e i traumi lentamente si avviava verso la morte. Muore sola, abbandonata da tutti, con la mano della signora Lucia che le accarezza la spalla, il volto, prima dell’arrivo dell’ambulanza in una corsa disperata verso l’ospedale San Giovanni, in cui dal coma profondo Rita passerà irreversibilmente verso la morte. Anche all’ospedale è sola. Nessuno è in sala d’ attesa con lo strazio nel cuore ad attendere il miracolo. Resta sospesa tra la vita e la morte per alcune ore, in un limbo in cui pare trovare pace. Muore dopo meno di una settimana dall’uccisione brutale del giudice Paolo Borsellino a cui Rita era molto legata, quasi fosse quel padre buono che avrebbe desiderato sempre avere. Muore e sembra che con il giudice Borsellino muoia la sua speranza di essere protetta. Ma Paolo Borsellino non era tutto lo Stato, non era tutta la Magistratura, non era tutte le Istituzioni che avrebbero dovuto prendersi cura di una ragazzina, una minorenne, partita dalla Sicilia, sotto copertura, perché aveva avuto il coraggio di dire e raccontare nomi, cognomi, fatti di mafia. No, Paolo Borsellino non era l’unico che poteva o doveva proteggerla.

Rita, ha un funerale essenziale, senza troppo clamore. Pochi i presenti che avrebbe voluto, non la madre. Non credo che in Rita vi fosse risentimento per quella donna, solo una incontrovertibile contrapposizione di scelte su quale parte stare al mondo. Impossibile vivere in due mondi contemporaneamente. Si può stare o da una parte o dall’altra. O piegati e sopraffatti dalla mafia, testa china e bocca chiusa o dalla parte della giustizia, della verità. Testa dritta, bocca aperta per parlare senza paura. Ovvero con la paura dentro le ossa ma con la consapevolezza di essere dalla parte giusta. Prendere le distanze è necessario, inevitabile. Sognare un mondo più giusto e onesto è un diritto, non solo un dovere. Rita lo sa. Lo sa quando prende quella corriera e piuttosto che andare a Sciacca a scuola va dritta in Caserma a Marsala e comincia a raccontare quello che in tanti anni ha visto, ha ascoltato, ha custodito, ha intuito, ha vissuto. Rita lo sa che da quel momento in poi la sua vita sarà un’altra. Sarà una vita che non conoscerà più la spensieratezza e l’allegria di una adolescente. Sa che comincia un calvario di nomi nuovi, di valige da fare e disfare, di traslochi, di case anonime e destinazioni ignote. Sarà un fantasma per gli altri, forse anche per sé. Rita sarà una testimone fondamentale per la Magistratura in un processo che consegnerà più di 50 persone alla giustizia e che accenderà dubbi e inchieste non solo sui soliti nomi noti ma anche su nomi insospettabili.

Rita è stata una giovane donna siciliana che ha rinunciato ai suoi progetti per il futuro e al suo desiderio legittimo di essere amata e di amare. Dopo la morte di Borsellino cade in depressione, si getta dal balcone. Ma perché sarebbe andata così? Almeno chiediamocelo. E’ quello che fanno tre donne: Graziella, Giovanna, Nadia. E il libro-inchiesta pubblicato nel maggio del 2022 da Marotta & Cafiero, a firma Cucè – Furnari – Proto pretende ascolto e non può non averne.

Sola in vita, per le sue decisioni, sola durante la morte. Non potevano che scegliere un titolo migliore per il loro libro-inchiesta, le scrittrici: Io sono Rita, non una giovane donna qualunque, ma Rita Atria. Se ne va senza disturbare nessuno ma se ne va a testa alta e con il coraggio indomabile di una guerriera. Ha pagato con la vita, come i grandi eroi del quotidiano, perché ha fatto il suo dovere fino alla fine, non accettando compromessi, collusioni, compiacenze. Se ne va eppure resta. Resta in questo libro inchiesta, resta nel coraggio di chi parla di lei senza paura. Resta simbolo di una Sicilia che vuole cambiare, che vuole rinascere, che vuole vivere di verità. Una Sicilia che vuole costruire un mondo pulito, onesto, migliore, con coraggio, senso del dovere, senza vie comode.

 

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