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Il Palazzo della Duchessa e quel legame tra Santa Elisabetta e Livorno

Storie. Una storia che ha origine lontano dalla nostra terra, ma che nel piccolo paese della provincia di Agrigento trova parte della sua linfa vitale.

Livorno, Palazzo Santa Elisabetta (Foto di Antonio Fragapane)

Questa è una storia che ha origine lontano dalla nostra terra ma che in essa ha trovato parte della sua linfa vitale. Tutto ha avuto inizio a Livorno, città tra le più importanti dell’intero centro Italia, tanto da essere scelta come sede dell’Accademia Navale dell’allora Regno d’Italia. Istituzione da cui ancora oggi provengono i migliori ufficiali cui sono affidate le innumerevoli e delicate funzioni svolte dai reparti della Marina Militare, dalla difesa delle nostre coste agli ormai numerosissimi salvataggi di immigrati nel Canale di Sicilia.

Ebbene, in questa illustre città toscana dall’importante passato, nel lontano 1873, da Francesco Poli e Zelinda Cappelletti nacque una bambina di nome Adriana. Poco si conosce della sua infanzia ma è certo che la sua famiglia le permise di poter coltivare gli interessi che subito mostrò d’avere verso lo studio delle lettere.

Adriana Poli sposò nel 1901 il nobile siciliano Salvatore Montaperto, il quale nel 1908 ebbe riconosciuto il diritto a potersi fregiare del titolo di duca di Santa Elisabetta, piccolo borgo rurale dell’entroterra agrigentino posseduto dalla sua famiglia già dalla prima metà del ‘700. Tale circostanza ispirò la moglie Adriana – che gli approfonditi studi avevano reso padrona tanto della lingua italiana che di quella francese – a firmare i suoi numerosi lavori editoriali, che con successo negli anni diede alle stampe, come Duchessa di Santa Elisabetta.

Livorno, interno Palazzo Santa Elisabetta (Foto di Antonio Fragapane)

Di lei si ricordano numerose opere letterarie, di cui alcune di pregevole fattura, come la novella in versi Il nano in griogioverde del 1925 o la raccolta di fiabe illustrate La Pallina magica del 1926. E significativo di questo proficuo impegno letterario è stato il riconoscimento conferitole addirittura dall’Accademia di Francia nel 1929, che premiò un suo libro di poesie – scritte tutte in francese – con l’onore della pubblicazione. Ma la Duchessa di Santa Elisabetta nella sua Livorno fu famosa anche, e soprattutto, per aver creato qualche anno prima (1922) l’unico salotto letterario della città, frequentato dalle più illustri personalità intellettuali dell’area toscana. Un luogo dove per quasi vent’anni si poté liberamente discutere di letteratura e che divenne una felice oasi culturale in un periodo buio sia per la storia che per la cultura italiane. E una delle particolarità più curiose di tale cenacolo riguarda la sede che lo ospitava, un imponente e sontuoso edificio di proprietà della famiglia Poli, ricevuto da Adriana come dote di nozze, che si affacciava (e che si affaccia tutt’oggi) su Piazza Attias, una delle principali di Livorno.

La struttura fu terminata nel 1860 e si presenta in stile neorinascimentale – molto in voga in quel periodo – coi suoi timpani triangolari e curvi e il massiccio basamento che rappresentano un tributo alle dimore fiorentine del ‘500, a testimonianza del prestigio posseduto dalla borghesia livornese a cavallo dell’Unità d’Italia. In onore infatti dell’origine geografica del titolo posseduto dal marito e che lei stessa utilizzò – anche se per soli scopi letterari – Adriana Poli Montaperto, alias la Duchessa di Santa Elisabetta, rinominò lo stabile che ospitò gli incontri culturali da lei organizzati.

Foto di Antonio Fragapane

Lo ribattezzò Palazzo Santa Elisabetta, suggellando in tal modo un inedito legame – ancora oggi solido e quindi mai dissolto – tra la sua città d’origine (in cui visse tutta la vita) e il piccolo paese siciliano di Santa Elisabetta di cui il marito fu nobile signore. La storia poi narra del generoso lascito che la “Duchessa” amante della letteratura scelse di fare, decidendo che dopo la sua morte, avvenuta nel 1941, Palazzo Santa Elisabetta fosse ereditato dal vescovado di Livorno per provvidenze a giovani studiosi, in modo tale quindi che il suo uso potesse servire unicamente a finanziare borse di studio per giovani studenti. Volontà purtroppo parzialmente disattesa poiché oggi metà dell’edificio continua ad appartenere alla Curia mentre l’altra è entrata a far parte della proprietà del Comune.

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