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Calogero Marrone, l’uomo che salvò intere famiglie di ebrei

Storie. Era di Favara e la sua toccante storia merita di essere sempre raccontata e tramandata. Marrone morì il 15 febbraio del 1945 nel campo di sterminio tedesco di Dachau. Il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni”

Memoriale della Shoah di Parigi (Foto di Raimondo Moncada)

Alla fine degli anni venti il segretario della “Sezione combattenti e reduci della prima guerra mondiale” di Favara era un sergente in congedo. Fervido antifascista e convinto oppositore del regime, era malvisto da molte personalità del paese e stette anche alcuni mesi in carcere per non essersi voluto iscrivere al Partito Nazionale Fascista.

Lui si chiamava Calogero Marrone e la sua toccante storia merita d’essere sempre raccontata e tramandata. Marrone era un impiegato del Comune di Favara che, in anni in cui emigrare al nord non era ancora divenuto una drammatica necessità, nel 1931 si trasferisce in Lombardia assieme alla moglie e ai loro quattro figli a seguito della vincita di un concorso per applicato al Comune di Varese. Apparve però subito chiaro che il suo trasferimento non fu solo dettato da motivi lavorativi e il suo giungere nel capoluogo varesino si rivelerà una circostanza colma di significati e conseguenze. Al lavoro nel suo nuovo ufficio Calogero Marrone dimostra sin da subito di possedere notevoli doti intellettuali, organizzative e direttive, tanto da diventare in breve tempo capo dell’Ufficio Anagrafe comunale già nel 1937.

Dopo l’armistizio dell’08 settembre del 1943 – episodio storico che fece cessare le ostilità militari contro le truppe anglo-americane, avviando nel contempo quelle con gli ex alleati tedeschi – Varese, città di frontiera, divenne la meta prescelta da migliaia di militari di leva e di ebrei consapevoli del fatto che rappresentasse una delle migliori aree strategiche per il passaggio nella vicina e neutrale Svizzera, a ragione considerata la terra della salvezza. Alla dogana, infatti, solo i cittadini in regola con i documenti di riconoscimento o con gli obblighi militari venivano autorizzati a passare il confine, per gli altri l’unica risposta ricevuta era l’essere respinti o, peggio, arrestati.

Fu in quel periodo che Calogero Marrone, già componente del gruppo partigiano “5 giornate del San Martino”, essendo sempre più fermamente convinto che ciascun cittadino italiano degno di questo nome avrebbe dovuto combattere come poteva contro il regime fascista, ideò un inedito, semplice quanto efficace stratagemma, ovvero sfruttare la sua importante posizione di dirigente dell’Ufficio Anagrafe per rilasciare migliaia di documenti d’identità con false generalità a ebrei e antifascisti che a lui o al suo gruppo si erano rivolti per un aiuto, in tal modo permettendo loro di superare facilmente il confine e mettersi in salvo.

Fu infatti grazie a lui che intere famiglie di ebrei – private anche dei più elementari diritti dalle deprecabili e famigerate “leggi razziali” del 1938 – poterono scampare il pericolo di una sicura e inevitabile deportazione nei lager tedeschi e che numerosi dissidenti del regime poterono organizzarsi, appena fuori dall’Italia, in gruppi di assistenza ai molti resistenti e partigiani operanti fino a Roma. Si salvarono davvero in tanti, come risulta dalle molte testimonianze (alcune anche ufficiali e giurate innanzi a un notaio) che nel corso degli anni sono state raccolte. Ma dopo poco più di tre mesi d’intensa attività presso il suo ufficio di Palazzo Estense, una denuncia mise fine a tutta l’opera di appoggio e soccorso documentale concepita e realizzata da Marrone, il quale fu sempre fortemente cosciente degli altissimi rischi personali e professionali cui si stava esponendo, consapevolezza che però non gli impedì di portare avanti il suo personale progetto.

Non si sapeva allora e non si conosce ancora adesso – anche se si è sempre sospettato che fosse un impiegato del suo stesso ufficio – il nome di chi avvertì i nazisti sull’opera di Marrone, destinatario il 31 dicembre del ’43 di una lettera riservata del podestà repubblichino di Varese Domenico Castelletti che lo informava dell’apertura di indagini a suo carico, al contempo sospendendolo dal servizio e invitandolo a rimanere a disposizione delle autorità.

Calogero Marrone, pur prevedendo le drammatiche conseguenze di quelle indagini, diede la sua parola d’onore al podestà, promettendogli che sarebbe rimasto a casa e non sarebbe fuggito, come ci si sarebbe normalmente aspettato da chiunque si fosse trovato nella sua posizione. Ebbe pure la possibilità di poter scappare in tempo quando il 4 gennaio del ‘44 ricevette l’accorata e implorante visita di don Luigi Locatelli, canonico della Basilica di San Vittore, il quale lo informò che era stato firmato nei suoi confronti un ordine d’arresto. Ma Calogero Marrone, dopo un breve e intenso colloquio sia col parroco che con la moglie decise di non andarsene, poiché, oltre al valore che attribuiva alla sua parola data, temeva una vendetta dei fascisti nei confronti della sua famiglia. E amaramente puntuali, solo tre giorni dopo, il 7 gennaio, bussarono alla sua porta due ufficiali del Comando Tedesco della Polizia di Frontiera, che – armi alla mano e sulla base delle accuse a lui mosse di collaborazionismo con la Resistenza, favoreggiamento nella fuga di ebrei e violazione dei doveri d’ufficio – lo presero e lo portarono dapprima nel carcere di Varese, dove venne torturato, e in seguito, dopo essere stato rinchiuso in vari istituti penitenziari e aver subito un breve periodo di detenzione nel lager di Bolzano-Gries, fu definitivamente deportato nel tristemente noto campo di sterminio tedesco di Dachau, dove morì di tifo il 15 febbraio del 1945, “quando stava per sorgere il sole della libertà”.

Il 27 gennaio del 2003, in occasione della “Giornata della Memoria”, all’interno del Parco di Monte Po a Catania sono state piantate tre querce e una di esse è stata dedicata proprio a Calogero Marrone, sul quale dieci anni dopo – presso l’apposita commissione del museo Yad Vashem di Gerusalemme – si è positivamente conclusa l’istruttoria per il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni”, titolo riservato esclusivamente a chi ha compiuto particolari azioni di soccorso e aiuto a favore degli ebrei in fuga dal nazismo. Dunque Calogero Marrone come Giorgio Perlasca, come Oskar Schindler.

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