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Un intricatissimo enigma lungo un secolo

Storia. La macchina di Antikythera, considerata il più antico computer al mondo 

Foto Archivio malgradotutto

Nella vita, si sa, spesso gli eventi più normali sono anche quelli che riservano poi le sorprese più incredibili. Prendiamo, per esempio, due tempeste, lontane tra loro quasi duemila anni, ma che si sono scatenate nello stesso luogo. La prima di queste, avvenuta nel 65 a. C. circa, fu distruttiva e mortale tanto da far inabissare un’intera nave romana con tutto il suo prezioso carico. La seconda, avvenuta invece nel 1902, fu al contrario salvifica e – col senno di poi – davvero cruciale. Il luogo delle due sventure appena raccontate è l’isola greca di Antikythera, posta nel mar Egeo tra il Peloponneso e Creta, e ciò che qui prima colò a picco e poi venne miracolosamente ritrovato ha rappresentato per quasi un secolo un intricatissimo enigma, quasi da fantascienza. Ma andiamo con ordine.

Alcuni pescatori di spugne, all’inizio del ‘900, ripararono su un’isoletta disabitata per sfuggire a un pericoloso maltempo. Qui, non appena ne ebbero nuovamente la possibilità, si tuffarono in un tratto di mare a loro sconosciuto dove trovarono, insieme ai resti di un relitto di un’antica nave, anche uno strano oggetto di metallo completamente corroso dall’acqua. Ma solo qualche decennio dopo, il ricercatore Derek J. De Solla Price poté avanzare per primo una (strabiliante) ipotesi sull’ingarbugliato metallo di Antikythera, ovvero che si potesse trattare di un misuratore del Ciclo Metonico, cioè un modello di 235 mesi lunari utilizzato nel mondo antico per calcolare con estrema esattezza quando si sarebbe manifestata una eclisse. Non solo questo, però. Infatti poco dopo, alcuni studiosi del Museo Archeologico Nazionale di Atene – analizzando tutte le sue componenti, che nel frattempo erano state meticolosamente ripulite dalla ruggine – giunsero a una (scientificamente) sconcertante teoria. Quell’oscuro insieme di parti metalliche, ribattezzato il “Meccanismo di Antikythera”, in realtà era un sofisticatissimo sistema a orologeria che riproduceva, utilizzando dispositivi (fin troppo) d’avanguardia, il moto delle orbite dei pianeti attorno al Sole (di quelli allora conosciuti come Venere, Marte, Giove e Saturno) e anche le fasi lunari. Addirittura poteva simultaneamente servire come strumento per individuare le rotte di navigazione e per indagare il cielo. Ma anche, incredibilmente, calcolare gli anni bisestili e pronosticare la posizione del Sole e della Luna all’interno della Costellazione dello Zodiaco. Un vero e proprio computer che duemila anni fa era al contempo planetario, calendario astronomico, strumento astrologico e anche fondamentale dispositivo che veniva usato per stabilire la data della più importante manifestazione sociale e sportiva dell’Antica Grecia: i Giochi Panellenici (Olimpici, Pitici, Nemei e Istmici), organizzati infatti a cadenza quadriennale e secondo un preciso ciclo temporale detto Olimpiade.

Antonio Fragapane

Ma molte (troppe) domande rimanevano ancora senza una plausibile risposta. Come poteva, infatti, un “calcolatore” del I secolo a. C. contenere al suo interno quello che in gergo tecnico si chiama “rotismo differenziale”, meccanismo brevettato solo nel 1828 (dall’orologiaio francese Onésiphore Pecqueur) e applicato per la prima volta solo in epoca contemporanea, sul differenziale delle automobili? E come faceva, questo oggetto coevo di Giulio Cesare, a utilizzare il calcolo analitico, la cui formula fu enunciata da Robert Willis solo nel 1841? Interrogativi che, come è facile immaginare, scossero l’intera comunità scientifica mondiale. E lo sconcerto fu ancora maggiore quando cominciarono a essere decifrate anche tutte le iscrizioni incise sul metallo del “Meccanismo” e che lo datavano con precisione assoluta alla prima metà del I secolo a. C. (periodo quindi perfettamente coerente con quello della nave romana che lo trasportava, eliminando così qualsiasi ipotesi su una possibile sovrapposizione di reperti nello scafo durante i secoli). Tanto per iniziare a comprendere i risvolti della vicenda, si consideri che quello trovato nelle acque di Antikythera dimostrava – e dimostra – come già nell’antichità (soprattutto grazie alle conquiste di Alessandro Magno e alla successiva nascita della civiltà ellenistica) si avesse cognizione che la Terra e gli altri pianeti ruotassero attorno al Sole e non attorno al nostro pianeta. Nozioni che quasi duemila anni dopo avrebbero certamente risparmiato a un genio assoluto come Galilei (che però sapeva) la condanna per eresia e l’umiliazione della pubblica abiura.

E arriviamo ai giorni nostri. Recentemente un professore dell’Istituto per gli Studi sul Mondo Antico di New York, Alexander Jones, ha scoperto che il “Meccanismo di Antikythera” è regolato sui mesi i cui nomi sono quelli che erano in uso nelle colonie corinzie, con particolare riferimento a Siracusa. E proprio questa straordinaria informazione ha fatto subito pensare a un affascinante collegamento, perché la città aretusea è anche – e soprattutto – la patria di uno dei più importanti matematici mai esistiti, Archimede, ovvero il solo e unico scienziato dell’antichità ad aver realizzato un planetario che sia stato anche descritto in molte e autorevolissime fonti e che, proprio grazie a questi testi, sappiamo essere stato molto simile a quello ritrovato nell’Egeo. Ne hanno scritto, infatti, Ovidio (Fasti), Lattanzio (Divinae institutiones), il poeta Claudiano (In sphaeram Archimedis) e anche Cicerone (in ben due sue opere, De Re publica e Tuscolanae disputationes) riporta la notizia che dopo la caduta di Siracusa per mano di Roma, nella caput mundi era stato portato un planetario attribuito proprio ad Archimede.

Ecco quindi che il cerchio sembrerebbe chiudersi proprio dalle parti della Fonte Aretusa. Il calcolatore di Antikythera, infatti, fu sì costruito due secoli dopo la morte dello scienziato siracusano ma molto probabilmente fu realizzato utilizzando le nozioni – e forse anche un eventuale “progetto” – lasciate in eredità direttamente da Archimede in persona. Con la fondamentale (ma solo ipotetica) deduzione che il “Meccanismo”, considerato il più antico computer al mondo mai ritrovato, possa addirittura essere stato forgiato proprio a Siracusa.

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