Fondato a Racalmuto nel 1980

Sciascia, i cent’anni di una lezione controcorrente

La misura della sua grandezza, della sua lezione ancora viva, del suo genio narrativo, con cui ha saputo raccontare le contraddizioni, i mali, le imposture, le ipocrisie e gli inganni dell’Italia, utilizzando come punto di osservazione la Sicilia. 

Leonardo Sciascia (Foto Totò Castelli)

Quanto in queste ultime settimane è stato organizzato, scritto e detto per celebrare Leonardo Sciascia nel centenario della nascita fornisce la misura della sua grandezza, della sua lezione ancora viva, del suo genio narrativo con cui ha saputo raccontare le contraddizioni, i mali, le imposture, le ipocrisie e gli inganni dell’Italia utilizzando come punto di osservazione la Sicilia. Gli speciali sui giornali, i servizi televisivi, progetti editoriali (alcuni scritti inediti riuniti in un volume Adelphi saranno da oggi in libreria col titolo Questo non è un racconto), gli appuntamenti culturali (seppure virtuali in tempi di pandemia) sono talmente copiosi da meritare un discorso a parte; tutti concorrono, comunque, a celebrare uno dei maître à penser più originali e significativi del Novecento europeo. Arrivano, copiose, queste iniziative, a colmare un vuoto: quello che spesso si è creato negli ultimi anni attorno alla personalità che meglio ha saputo indagare il cuore oscuro del potere, bandolo di ogni matassa sciasciana. Forse è destino di tutti gli «uomini contro» rischiare processi di rimozione per non avere accettato compromessi sull’impervio sentiero della verità, per essere sempre fedeli al concetto di letteratura come impegno, anzi la «letteratura come buona azione».

E Sciascia era così, tano mite e disponibile come persona, quanto rigoroso, duro e implacabile quando faceva vibrare la «corda civile» e svolgeva chirurgicamente le sue analisi sulle suppurazioni politiche e sociali del Paese che qualcuno, invece, preferiva lasciare a dormire al caldo, sotto la coltre di ipocrisia e opportunismo. Ma lui andava avanti, capace di essere solitariamente «uomo in rivolta» davanti a plotoni di uomini allineati; non aveva paura di assumere posizioni scomode e controcorrente, molto vicino al modo di «sentire» il ruolo dell’intellettuale che era anche del suo amico Pasolini. Da ruolo dei comunisti all’affaire caso Moro, dai professionisti dell’antimafia al ruolo degli scienziati con il caso Majorana. E quello di Sciascia era sempre un pensiero eretico e spiazzante, alla lunga quello che ha resistito di più, capace di increspare il mare placido del pensiero unico, anzi del pensiero comodo.

Sono passati cento anni da quando Genoveffa Giuseppa Martorelli diede alla luce l’8 gennaio del 1921, in salita del Monte numero 5, a Racalmuto, un bambino a cui fu dato il nome di Leonardo. Quel paese corroso di zolfare e saline, accentrato in feudi e parrocchie, in cui una negletta umanità portava nei volti la stanchezza di un secolare sfruttamento e la rassegnazione a un potere (al potere) che si rinnovava nel sopruso, in quei luoghi di scoscesa e aspra e nuda bellezza che cominciavano a essere decimati dall’emigrazione, proprio lì cominciò a forgiarsi la sensibilità, l’immaginazione e l’intelligenza di Nanà, il diminutivo con cui veniva chiamato dagli intimi.

All’età di due anni sono le zie a prendersi cura di lui portandolo nella casa di via Regina Margherita 37, la casa dei nonni, dove poi visse anche da sposato. Quindi fin da bambino il suo fu un mondo di donne.

«Sono cresciuto in un ambiente femminile – ha scritto -, le mie zie, una delle quali era maestra elementare, e mia madre, che raramente usciva di casa. Le case erano allora luoghi privilegiati per l’osservazione delle cose e delle persone, io vi restavo in mezzo alle donne, ascoltavo senza aprir bocca, e finivo per sapere tutto ciò che avveniva in paese, dal primo all’ultimo pettegolezzo, dalla minima maldicenza all’ultima diceria… ed è così che sono diventato scrittore».

Racalmuto, Casa Museo Sciascia, interno

Da qualche anno la casa è stata acquistata da Pippo Di Falco, bibliofilo sul trono di uno smisurato regno di libri, che l’ha mantenuta com’era, aprendola alle visite e riempiendola di volumi legati all’universo sciasciano. Fra quelle mura, che col tempo sono diventate anche la prima residenza della sua famiglia che si formò presto – la moglie Maria Andronico e le due figlie Laura e Annamaria – Sciascia comincia a osservare un mondo di «maschere», modi di dire, contraddizioni, follie che inevitabilmente troveranno posto nelle sue opere, a cominciare dalla sua prima prova narrativa, Il signor T protegge il paese, del 1947.

«Sono nato in luoghi pirandelliani, con traumi pirandelliani…», ha scritto. E, in effetti, quella tramatura umana composta da profittatori, infingardi, povericristi, soprastanti, gabelloti, braccianti, picconieri di giornata, zolfatari, preti, uomimi, mezz’uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà che scorrevano davanti ai suoi occhi come i personaggi di quel cinematografo a due passi da casa, appartiene in fondo allo stesso milieu, allo stesso «pirandellismo in natura», da cui aveva attinto ispirazione il drammaturgo agrigentino

Per chi voglia addentrarsi nei luoghi dello scrittore, avere informazioni dettagliate e spigolature, in questi giorni arriva nelle librerie «Dalle parti di Leonardo Sciascia» di Salvatore Picone e Gigi Restivo (Zolfo editore, pp. 280, 18 euro). Una topografia letteraria e insieme viaggio nella vita e nelle opere dell’autore di «Porte aperte». C’è Racalmuto, con la casa delle zie, il circolo Unione, le scuole, contrada Noce dove lo scrittore ha scritto quasi tutta la sua produzione. E poi Caltanissetta, la «piccola Atene» dove ha vissuto per un lungo periodo, prima come studente e successivamente con la famiglia. E poi Palermo, Parigi, Milano, la Spagna…

Si spera che il centenario della nascita non si fermi alle celebrazioni e alla pubblicistica di oggi. Sicuramente per la Sicilia sarà l’anno di Sciascia.

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