Fondato a Racalmuto nel 1980

DAD: quando il ritardo dell’insegnante è cosa buona e giusta

Quella che ho fatto oggi è una scoperta davvero illuminante

Valeria Iannuzzo

Mi ci sono arrovellata il cervello per mesi, cercando di mettere a fuoco ogni possibile aspetto positivo della didattica a distanza e delle ormai note lezioni on line. Non nascondo di aver faticato parecchio, ma alla fine ce l’ho fatta. Sono soddisfatta e in pace con me stessa. Certo mi ci sono voluti quasi tre mesi, ma ciò che importa è il prodotto finale. Ovviamente la mia scoperta è avvenuta per caso, proprio quando non me lo aspettavo, semplicemente osservando casualmente un fenomeno.

Diamo per assodato che le lezioni on line abbiano in qualche modo costituito in alcuni casi un ammortizzatore contro l’abbandono scolastico; che molti, comunque, continuano ad abbandonarci anche decine di volte durante una lezione per via della connessione; che stare dietro ad un monitor ci priva di quell’umanità di cui noi docenti dovremmo essere portatori sani; che l’appuntamento on line costringe qualcuno se non a studiare almeno ad aprire i libri; che per prendersi gioco dei docenti e dei professori ogni singolo studente abbia sviluppato capacità creative eccezionali. Ecco tutte queste sono cose buone, abbastanza buone, ma non eccezionali.

Quella che ho fatto oggi è, invece, una scoperta davvero illuminante. Vi spiego nel dettaglio. Gestendo più classi ho un orario di videoconferenze che spesso si susseguono. Dunque non riesco mai ad aprire puntualmente la lezione successiva alla prima. Tutto questo mi provoca stress, mi mette a disagio, perché la puntualità è un esempio che dovrebbe essere sempre dato agli studenti. Ed allora sto sempre lì a scusarmi, a spiegare il perché, a giustificarmi. Presa dai miei discorsi non mi sono mai preoccupata di osservare bene i miei studenti, di capire quale fosse il loro punto di vista, di ascoltare i loro “Non si preoccupi”.

Ecco, non avevo capito niente, nulla, zero. Il mio ritardo non è mai stato percepito come un problema, un disagio, un disservizio. Il mio ritardo è stato sempre cosa buona e giusta. Ha rappresentato l’unico momento in cui i miei studenti si sono sentiti veramente una classe, liberi di esprimersi, litigare, chiacchierare, muoversi, ridere. Quei cinque minuti di ritardo, vissuti con angoscia dall’insegnante, sono stati l’unico momento di vera vita di classe, un po’ come avviene nei cambi d’ora, quando si attende l’arrivo dell’insegnante. Era sempre stata lì sotto i miei occhi, ma io non l’avevo mai notata. Banale vero? Lo so, ma è andata così.

Adesso però ho imparato e mi violento quando sono puntuale, aspettando più tempo possibile prima di dare il fatidico click per avviare la lezione. Continuo a fissare l’orologio digitale che compare sul lato destro del monitor e cerco di capire se i miei studenti sono già tutti connessi, se si sono già salutati, se hanno condiviso le loro esperienze, se qualcuno sta gridando per farsi sentire, se stanno ridendo o litigando. Cerco di capire se in un modo veramente singolare si sono ritrovati in classe, se fanno gruppo, se si sentono a scuola. Aspetto e intanto mi illudo che sia così. E allora il mio ritardo improvvisamente mi sembra il momento più bello che io possa donare ai miei studenti. Sto donando a ciascuno di loro uno spazio autentico, dove potersi ritrovare. Sto regalando alla mia classe qualcosa a cui esperti e ministri non hanno mai pensato fosse davvero importante. Siamo stati tutti così presi dal riempire vasi vuoti, da scordarci di avere davanti persone vere, desiderose, bisognose di avere relazioni umane. Da domani, consiglio a tutti, di iniziare a ricordarsene.

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