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Coronavirus. Dedicato agli imbecilli e agli incoscienti

Purtroppo sono ancora tanti in Sicilia, e non solo, che non hanno capito la gravità della situazione

Valeria Iannuzzo

Premetto subito che il criceto è una metafora a cui ricorro, perchè, a quanto pare, questo delizioso e innocuo animaletto, a volte, non ama mettere in funzione il cervello.

Ciò premesso mi chiedo se era proprio necessario che il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci emanasse un decreto per bloccare nelle loro gabbie i “criceti” della nostra amata isola? Evidentemente sì, perché gli appelli accorati di medici, paramedici, operatori sanitari, agenti di polizia, sindaci, presidenti, che sino ad oggi sono arrivati attraverso tutti i mezzi di comunicazione sulla specie autoctona del “criceto” siciliano non avevano avuto alcun effetto.

I nostri “criceti” sembrano, infatti, essere refrattari alle regole e alle norme sociali condivise universalmente pare a causa della perdita di specifici neuroni deputati all’acquisizione di tali procedure. Pertanto la nostra specie autoctona, e sottolineo autoctona, utilizza solo alcune procedure mentali atte unicamente ad alimentare la cura personale e la bellezza esteriore. Da un’analisi estemporanea delle loro caratteristiche psicofisiche si potrebbe dedurre che la relazione tra la loro attività cognitiva e quella fisica è inversamente proporzionale. Ovvero, più lavorano i loro muscoli meno funziona il loro cervello.

Ecco perché non hanno recepito la gravità e la perentorietà del decreto del presidente Conte “Io resto a casa”. O quanto meno perché lo hanno compreso solo in parte. Per i nostri “criceti “Io resto a Casa” è stata una sorta di vacanza dal lavoro, da scuola, una limitazione della movida, un assottigliarsi delle relazioni sociali. Ma indubbiamente non uno stop all’attività fisica. Dunque, la chiusura delle palestre, dei centri di fitness, dei campetti polivalenti, delle piscine e di ogni altra struttura sportiva li ha costretti a reinventarsi affinché la massa muscolare magistralmente scolpita attraverso ore ed ore di esercizio fisico non andasse perduta.

E allora tutti a correre a destra e a manca, in campagna ed in città, nei parchi e per le strade. L’importante è non fermarsi. Ma correre, correre, sempre e comunque. E dopo la corsa magari un po’ di stretching e decine di ripetute con bilancieri home made corredati da cassette d’acqua minerale o fustini di detersivo per la biancheria.

In tutto questo ingegnarsi poco importa se per andare a correre si ci espone al rischio contagio, entrando in ascensore, toccando il corrimano delle scale, aprendo la porta di casa, incrociando altri criceti podisti. Poco importa. Ciò che conta è rimanere in forma. È chiaro che il criceto nostrano non ha capito assolutamente nulla di cosa stia accadendo nel mondo, che abbia scambiato il coronavirus con una banale influenza da affrontare con i pettorali, che non sappia decifrare immagini e parole veicolate quotidianamente che parlano di contagi e decessi e soprattutto che non gliene frega nulla dei propri conviventi, siano essi figli, mogli o genitori.

Il “criceto” siciliano è completamente concentrato su se stesso. Ama talmente tanto il riflesso della propria immagine che a Narciso ci fa un baffo. Per lui, tronfio ed arrogante, esistono solo i muscoli, la tonicità, l’elasticità e la bellezza. Forse non si è mai fermato a pensare cosa significhi sopravvivere attaccato ad un respiratore. Forse non ha mai messo piede in un reparto oncologico nella speranza di poter fare una seduta di chemio. Forse non sa cosa vuol dire vivere le ultime ore della propria vita in un Hospice con la morfina che ti scorre nelle vene.

Forse il “criceto” non sa. Non sa nulla. Non ha capito nulla. E non capirà mai nulla. O forse capirà quando in una delle tante bare allineate senza né un nome né un fiore ci sarà uno dei suoi cari.

Cari “criceti”, vi consiglio di attivare quei pochi neuroni che vi sono rimasti nel cervello. Prendete un libro. Scoprirete che ha una massa. Una massa che contiene tante parole, che potranno forse stimolare i vostri pensieri, riattivare quel barlume di intelligenza tipico della specie umana, che voi avete perduto guardandovi troppo allo specchio.

 

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