Fondato a Racalmuto nel 1980

“Inzuppatevi della Sicilia, perché è un modo di guarirne e di guarirla”

GESUALDO BUFALINO. L’appello dello scrittore ai giovani in una intervista rilasciata al nostro giornale nell’agosto del 1990. 

Gesualdo Bufalino (Foto di Angelo Pitrone)

Era l’agosto del 1990 e Gesualdo Bufalino si trovava a Racalmuto, ad un anno dalla scomparsa di Leonardo Sciascia, per un convegno su “Le parrocchie di Regalpetra”. Lo scrittore di Comiso era molto legato al nostro giornale e accettò subito di rilasciarci una intervista.

Prof. Bufalino lei ha definito “Le parrocchie di Regalpetra” un aureo ed insostituibile classico del ‘900, dove Sciascia ha impresso il sigillo esemplare di uno stile. Un libro, quindi, che conserva intatte tutte le sue peculiarità.

Si, appunto, non posso che confermare questo giudizio. “Le parrocchie di Regalpetra” rappresentano  il ritratto di una comunità, di una Sicilia, amara, se vogliamo, che oggi potrebbe apparirci altrettanto amara. Infatti non è che sia cambiato molto. Vero è però che, se anche il benessere ha accresciuti, e in qualche modo alimentati, i germi di malessere; giocando un po’ con le parole, il benessere fisico, dico, economico ha accresciuto in qualche modo il malessere morale nella nostra isola. E’ anche vero che Leonardo nello scrivere questo libro ha dato prova di un sentimento che era un misto di odio e amore, in fondo egli per la sua comunità, per la sua Racalmuto ha intrattenuto sempre un sentimento di adesione sottile, sotterranea, un sentimento molto bello, un sentimento che lo ha indotto, del resto, a vivere ogni volta che poteva proprio qui a Racalmuto, a ricreare in un lembo di questa terra quella specie di piccolo paradiso che era la sua infanzia, e che Racalmuto rappresentava.

A proposito delle “Parrocchie” lei ha detto anche che Sciascia scriveva da un’estrema provincia meridionale con gli occhi invasi da una realtà di ingiustizie e ferocie, resistendo comunque alla tentazione di coniugare in termini di urlo e di oltranza la propria indignazione, e ponendosi invece di fronte a quella realtà con l’occhio lucido del giudice, quindi con grande coscienza civile e sociale.

Beh, Leonardo di fronte alla realtà, alla realtà amara, amarissima della Sicilia ha assunto sempre non la posizione sterile del protestatario, dell’indignato che urla dalla finestra la sua rabbia e quindi perde il filo lucido e logico della ragione, egli ha guardato la realtà con la ragione, cioè con disperazione e speranza insieme. C’è una pagina, un passo, di cui non ricordo le esatte parole, ma un passo molto significativo delle “Parrocchie” in cui proprio Sciascia parla della sua speranza, di quel margine di speranza senza il quale egli non si sentirebbe vivo. E, quindi, voglio dire che è un libro disperato e pieno di speranza insieme, la speranza che qualcosa cambi, anche in un mondo apparentemente immutabile.

Oggi la Sicilia in molte cose non è più quella di trent’anni fa, ma ferocie e ingiustizie purtroppo continuano. Non c’è più, però, l’occhio lucido di Sciascia a denunciare. Il dopo Sciascia è già iniziato, ma avvertiamo tutti una enorme sensazione di vuoto.

Dice bene, lei dice bene: Lui ci manca, ma ci sono i suoi libri, e i suoi libri sono tanto, molto. Tuttavia la sua presenza umana, il suo sorriso, la sua ironia, la sua malinconia ci mancano e non possiamo che dire ahimè! Non c’è nessun rimedio a questo.

Solitudine e isolitudine sono due parole che troviamo nel suo ultimo libro, “Saldi d’autunno” edito da Bompiani. Indicano il destino di ogni isola a essere sola nell’angoscia dei suoi sigillati confini… isolitudine, quindi, può anche significare rassegnazione?

Ma guardi, nella solitudine e nella isolitudine insieme, non è che ci sia solo rassegnazione, c’è a volte qualcosa di peggio, cioè il vizio: la solitudine può diventare un vizio, perché la solitudine è anche voluttà di essere soli. Vero è, però, che quando la solitudine è attiva, cioè quando si nutre di libri, di contatti umani – il che parrebbe contraddire al concetto di isolitudine – noi, nell’isola, non siamo soli: siamo siciliani insieme.

Prof. Bufalino quanto c’è di vero in alcune voci secondo le quali lei avrebbe manifestato il proposito di non pubblicare più? E se è vero da cosa nasce questa decisione?

Si, c’è parecchio, c’è molto, direi tutto vero. Ma questa è una cosa privata della quale preferirei  non parlare, e in fondo si tratta di una rinunzia alla pubblicità, al meccanismo, all’ingranaggio pubblico. Un libro, la pubblicazione di un libro, voglio dire, comporta recensioni, premi o non premi, polemiche, clan, insomma c’è una macchina che si muove intorno a un libro e io ho un’età sufficientemente avanzata per poterne fare a meno, per desiderare di farne a meno. Quindi, la mia scelta, provvisoria, può darsi definitiva, è quella di scrivere e di pubblicare solo per un numero di amici ai quali manderò i miei libri a patto, però, che non ne parlino.

Lei definisce la Sicilia terra infelice, che ogni mattino a chi ci vive e ne scrive impone lo stesso monotono dubbio: …se gli convenga, tappandosi occhi ed orecchie, eleggerla a proprio eroico eliso: o se debba mischiarcisi, inzupparsene e ammalarsene come l’innamorato che in un grembo infetto cerca di proposito l’assoluto di un’estasi e di una morte. Lei ha sciolto questo dubbio?

Beh, io in definitiva è come se avessi scelto la soluzione peggiore e cioè proprio quella di estraniarmi un po’ dalla realtà attiva e di chiudermi in una sorta di isolamento, di pace, attiva, ma evidentemente in qualche modo sterile. Ma lo ripeto, ho scritto tanti libri, ho tanti anni e posso anche concedermi questo lusso senza, però, consigliarlo a nessuno. A voi che siete giovani dico invece mischiatevi, inzuppatevi della Sicilia, perché è un modo di guarirne e di guarirla.

Da Malgradotutto, agosto 1990

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