Fondato a Racalmuto nel 1980

Francesco Macaluso, il maestro che fece amare la fisarmonica ad intere generazioni di giovani

Storie. “Il paese della fisarmonica”. Fra le tante caratteristiche che identificano la cittadina di Racalmuto nell’immaginario collettivo ce n’è una che non tutti conoscono

Il Maestro Macaluso, in primo piano, con i suoi allievi

Fra le tante caratteristiche che identificano la cittadina di Racalmuto nell’immaginario collettivo ce n’è una che non tutti conoscono poiché legata ad un particolare momento della sua storia ed alla passione per la musica di un suo concittadino.

Per scoprirla bisogna risalire alla seconda metà degli anni ’60 quando un apprezzato falegname con un naturale trasporto per la musica inizia ad accogliere presso di sé giovani desiderosi di intraprendere un percorso di studio finalizzato ad imparare a suonare la fisarmonica. Nella sua falegnameria di Via Raffo prima, ed in una piccola abitazione sita nella vicina Via Risorgimento quando poi il numero degli Allievi crebbe, il falegname in questione – al secolo Francesco Macaluso, mentre per i suoi affezionati Allievi, ‘Zì Cicciu – iniziava così a scrivere una delle più belle pagine della storia del “Paese della Ragione” che, grazie a lui, diventava anche il “Paese della Fisarmonica”.

Il corso prevedeva un primo colloquio, al quale i discenti erano, talora, accompagnati dal papà, che serviva per conoscersi e per pianificare la successiva frequenza. Già dal secondo incontro si entrava nel vivo dello studio con un quaderno musicale al seguito dove, con una grafia lenta ma estremamente curata tanto da esprimere una sorta di armonia grafica prima ancora che musicale, il Maestro Macaluso, segnava gli iniziali argomenti: il pentagramma, le note musicali, la legatura di valore, la legatura di portamento o espressione ecc. ecc.

Acquisite queste fondamentali conoscenze si passava al cosiddetto “solfeggio”, cioè alla lettura musicale, una sorta di allenamento visivo e cognitivo volto a perfezionare la reattività e, quindi, a rendere più disinvolti nell’interpretare vocalmente prima, strumentalmente poi, le diverse partiture musicali.

Quando si raggiungeva un buon livello di lettura musicale vuol dire che si era pronti per lo strumento. Si lasciava così il metodo “Bona” di solfeggio e, appena giunta la fisarmonica, nel frattempo ordinata, si passava alla pratica vera e propria con il supporto di un apposito volume – il Metodo Anzaghi – edito dalla Ricordi.

E questo percorso veniva offerto dal caro Zì Cicciu sempre con lo stesso entusiasmo, con la stessa cura, con lo stesso affettuoso incoraggiamento, con lo stesso brillante umorismo, con lo stesso spirito di servizio che, per lui, erano una vera e propria missione che sentiva di volere donare alla Musica, ai suoi cari Allievi, alla sua amata Racalmuto senza mai chiedere compensi o gratifiche di sorta, poiché per lui era importante l’educazione musicale – e non solo! – che la sua piccola e familiare scuola riusciva a diffondere efficacemente fra una gioventù che, così, cresceva culturalmente, moralmente e civicamente più sana, più matura, più forte.

Quante amicizie sono nate e si sono consolidate grazie all’opera di quest’uomo che ha messo fra i primi posti nella scala dei suoi valori la passione per la Musica! Quante relazioni si sono sviluppate anche fra le famiglie dei suoi Allievi, concorrendo a rafforzare quello spirito di appartenenza comunitaria che tutto armonizza, tutto semplifica e tutto orienta verso un Bene condiviso, grazie alla sua energia aggregante!

Quanti talenti musicali hanno avuto  possibilità di esprimersi compiutamente, raccogliendo gioia e soddisfazioni e concorrendo a rendere più conosciuto ed apprezzato il nome di Racalmuto, grazie al suo quasi paterno incoraggiamento ed alla sua calda umanità che, all’occorrenza, sapevano trasformarsi anche in autorevoli, giusti e finanche umoristici stimoli!

E in questa straordinaria fucina educativa venivano positivamente attratti non solo i giovani per lo studio della Musica ma anche gli adulti per spirito di servizio. Come non ricordare i suoi stretti collaboratori nonché affezionati amici che concorrevano alla logistica, all’organizzazione, alle pubbliche relazioni ed all’incoraggiamento secondo quella sinergica empatia che solo una vera, autentica e fraterna amicizia può favorire ed assecondare.

L’Avvocato Camillo Vinci, dal tratto flemmatico e signorile, un gentleman di altri tempi che sapeva sfoderare, con stile, un brillante umorismo ed una sottile ironia; il Sig. Alfonso Picone, tuttofare mosso da un’inesauribile energia che dispiegava spontaneamente per la cura dei vari aspetti organizzativi, coinvolgendo talora alcuni Allievi con la sua forte voce resa simpatica da un’inflessione piemontese rimastagli come ricordo della sua lunga attività lavorativa svolta a Torino; il Sig. Pino Salemi, sempre attivo e sempre pronto a fornire la giusta soluzione ad ogni problema grazie al suo equilibrio ed alla sua efficace capacità di approccio riservata alle persone ed alle varie problematiche, tanto da rappresentare una sorta di riconosciuto portavoce del Complesso; il Sig. Salvatore Agrò, titolare della storica tabaccheria che fungeva da base logistica e da centro relazionale, considerata la sua strategica ubicazione . . . nelle serate del periodo estivo, infatti, l’affiatato gruppo si ritrovava riunito accolto dalle sedie messe da lui a disposizione per conversazioni che duravano sino all’ora del rientro a casa; il simpaticissimo don Gaetano Chiarelli, parroco della chiesa della Madonna della Rocca che metteva a disposizione del gruppo di affiatati amici la sua Fiat 500 prima e, dopo averla cambiata, la sua Fiat 126 per le sortite fuori porta quando si voleva andare a gustare il caffè nei paesi vicini (Grotte, Favara, Castrofilippo).

Memorabili i suoi simpatici confronti/scontri con l’Avvocato Vinci che, di volta in volta, sceglieva degli argomenti di discussione bonariamente profani per trascinare nel dibattito tutti gli altri  e  per stuzzicare l’integerrimo suo ministero sacerdotale; infine Michele Scorsone, Appuntato dei Carabinieri in servizio a Racalmuto, mio padre. Sia pur con una differenza di età di circa vent’anni in meno, si trovava benissimo con quelli che erano diventati suoi veri e propri grandi amici: soprattutto nel periodo primaverile-estivo l’incontro serale era d’obbligo e si svolgeva secondo un cerimoniale che trovava il suo culmine in un dibattito aperto ricco di aneddoti e di storie di vita vissuta e nella solita buona tazzurella di caffè.

A dimostrazione di quanto sincero e solido fosse il rapporto di amicizia venutosi a creare nel gruppo di affiatati amici, ricordo che quando il Maestro Macaluso venne a mancare, nel pomeriggio in cui dovevano celebrarsi le sue esequie mio padre uscì prima del previsto e, per giunta, in divisa come se avesse avuto degli impegni di lavoro. La cosa mi stranì molto poiché mi aspettavo che partecipasse al funerale considerati i profondi sentimenti di stima che lo legavano al compianto amico. Capii il perché di ciò dopo, durante il corteo funebre che dall’abitazione accompagnò il feretro del Maestro in Chiesa Madre: giunti in Piazza San Pasquale vidi la camionetta dei Carabinieri posteggiata alla fine di Via Alfano nel punto della sua naturale confluenza in Corso Garibaldi. Quando il corteo funebre giunse quasi alla sua altezza, dal mezzo di servizio scesero mio padre e il suo collega autista e si posizionarono l’uno al fianco dell’altro quasi a rispettare un preciso cerimoniale: infatti, in perfetto sincronismo, gli resero il saluto militare!

Mi colpì molto quella scena che porto con orgoglio ancora dentro di me custodendola come una lezione di vita densa di pathos e di grande valore simbolico: l’uomo ed il Carabiniere rendevano omaggio all’amico,  al suo servizio speso per il bene e la crescita della comunità di appartenenza,  alla sua missione orientata all’educazione musicale ed alla formazione culturale e civica dei suoi giovani, fondamentali premesse per un presente inclusivo, aperto a tutti, nel rispetto di tutti, per un futuro in cui poter realizzare i progetti di tutti.

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