QUADERNI DI REGALPETRA Leonardo Sciascia e Maria Luisa Aguirre. Pietro Milone pubblica il carteggio che rivela il lato più personale e riflessivo dello scrittore di Racalmuto attraverso settanta lettere indirizzate alla nipote del Premio Nobel agrigentino. Un viaggio tra ricordi di scrittori, passioni letterarie, momenti di vita quotidiana e le sfide della malattia, in un dialogo che apre i sentimenti di uno dei più grandi intellettuali italiani

Ogni volta che spuntano lettere di Leonardo Sciascia ci si ritrova faccia a faccia con un letterato di grande valore, un uomo che sapeva leggere così bene la realtà che lo circondava da far diventare importanti le piccole cose, quelle più semplici, come la vista di un paesaggio da una finestra, una vecchia foto o la delicatezza di un gelsomino. Ed è la sensazione che regala un carteggio che è stato da poco pubblicato da Pietro Milone per Rubbettino: Di Stendhal, della Spagna, di Pirandello. E di me. Carteggio tra Leonardo Sciascia e Maria Luisa Aguirre d’Amico.
Si ha l’impressione, con queste settanta lettere che vanno dal 1971 al 1989, che Sciascia, rispetto agli epistolari fin’ora pubblicati (e questo libro si aggiunge alla collana “Quaderni di Regalpetra” curata da Vito Catalano su iniziativa della Fondazione Sciascia) apre l’intimità del suo essere scrittore a qualcuno che considera di famiglia.
E non poteva essere diversamente scrivendo alla nipote di Luigi Pirandello, figlia di Lietta: «Sa che ho pensato l’altro giorno parlando di Pirandello con un amico? – scrive Sciascia il 29 giugno 1977 da Palermo – Che aveva avuto e ha per me il ruolo del padre. Il trauma, il conflitto – ed ora il colloquio… Mi piacerebbe parlare un po’ con Lei di tutto questo – e d’altro anche. Di Stendhal, della Spagna, di Pirandello. E di me». «Quello che mi dice del suo rapporto con Pirandello – risponde Maria Luisa Aguirre, sposata con Alessandro D’Amico, figlio di Silvio, il grande critico teatrale – lo avevo in qualche modo intuito e più di una volta avevo spiegato così l’amore-odio che spesso avverto quando parla di lui».
In quegli anni i due lavorano alla pubblicazione dell’Album di famiglia di Luigi Pirandello che uscirà con Sellerio nell’inverno del ’79. Le fotografie dei Pirandello («Ho un debole per le fotografie e specialmente per le vecchie…Tengo molto care quelle di mio nonno, di cui porto il nome»), sono l’occasione giusta per allacciare un’amicizia interrotta solo dalla morte di Sciascia.
Nell’estate del ’77 scrive dalla sua campagna di Racalmuto mentre lavora a Candido («ne scrivo un capitolo al giorno, con molto divertimento»), fa una descrizione dettagliata della stanza, quasi a voler condividere il suo spazio, luogo dell’anima e della memoria: «Dalla finestra di questo mio studiolo (una vecchia scrivania; un mobiletto con pochi libri – la Bibbia, una mezza dozzina di dizionari, tutto Stendhal –, i ritratti di Voltaire, Francesco Paolo Di Blasi, Verga, Baudelaire; una divertente stampa francese che raffigura una cavalcata letteraria guidata da Hugo e fitta di personaggi in gran parte a me ignoti… il ritratto, più grande di tutti, di Machado disegnato da Picasso (quello di Pirandello, una fotografia, è giù, tra libreria e caminetto); un manifesto del film Section speciale); dalla finestra ho davanti “le terre della Favara”. Mi piacerebbe Lei venisse qui… è un modo per dirle che Lei è “erede” in senso molto più diverso e profondo di come solitamente finiscono le “eredità” grandi».

A Maria Luisa non sembra vero: «Caro Sciascia – risponde – Ma se lei è il mio unico interlocutore e alla descrizione dello studiolo che si affaccia sulle terre della Favara non ho potuto impedirmi di pensare come sarebbe stato bello per me sedere nella stanza attigua a leggere quietamente Zadig». E parla della solitudine della madre: «Viveva di nulla: pensieri, ricordi, chissà. Rispettavamo questo suo modo di essere diversa».
La nipote del Nobel inizia a inviare i suoi scritti all’amico, nel frattempo eletto alla Camera: «Sono stato malissimo – scrive Sciascia il 20 luglio ’82 – Poi ho quasi (quasi) smesso di fumare… non ho mai faticato tanto nello scrivere come per la relazione sul caso Moro». Turbata per l’assassinio di Dalla Chiesa, il 7 settembre chiede del suo Paesi lontani che sarà pubblicato da Sellerio con risvolto di Sciascia. E nel settembre dell’84 Maria Luisa e il marito andranno finalmente alla Noce.
In mezzo a libri, viaggi, polemiche e stati d’animo, incalza la malattia dello scrittore: «Noi siamo in campagna – è il 16 aprile 1988 – da quando sono qui, mi è scomparsa la glicemia. Il corpo ha le sue ragioni che la ragione dei medici non conosce». E ancora, il 30 giugno 1989, l’ultima lettera: «Cara Maria Luisa, mi dibatto ancora dentro questa trappola “medicale”, non so quando ne uscirò (se ne uscirò)».
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IL LIBRO
Di Stendhal, della Spagna, di Pirandello. E di me.
Carteggio tra Leonardo Sciascia e Maria Luisa Aguirre
d’Amico 1971-1989
Pietro Milone
(Rubbettino, pagg. 193, Euro 16)