Fondato a Racalmuto nel 1980

Licata, Camera D’Autrice per Raina Dandulova

È la stessa camera in cui lei si sedeva nel balconcino ad osservare quel pezzo di mare che custodiva i resti di suo marito, tra le vittime della sciagura della Seagull

Foto di Giovanni Salvio

Il 17 febbraio del 1974, la vecchia e fatiscente nave mercantile Seagull solcava le acque antistanti la costa di Licata con un carico di 8.800 tonnellate di fosfati. Le ventinove persone dell’equipaggio viaggiavano sotto una “bandiera ombra” liberiana. Ad un tratto scoppiò un incendio a bordo ma nessuno, anche se pare incredibile, si preoccupò di prestare soccorso. Per ben otto giorni, riferiscono alcune fonti, non si indagò su quello che era accaduto, su quella disgrazia che aveva inghiottito oltre l’intero equipaggio anche la moglie del capitano che si trovava a bordo. Per otto giorni scese il silenzio assoluto sulla tragedia che si era consumata.

L’unica persona che si affannava a cercare notizie era Raina Dandulova, moglie del marconista di bordo Frane Junakovic. Raina si precipitò in Sicilia per allacciare i contatti con il Comando Marittimo Sicilia (Marisicilia), che si occupava delle operazioni di soccorso. La nave mercantile sarebbe dovuta attraccare ad Augusta per depositare il carico ma lì non era giunta alcuna notizia del naufragio. Raina, inoltre, si scontrò contro muri di silenzio e di omertà da parte degli armatori della Seagull. Decise così di recarsi a Licata per indagare su quella sciagura. Nel centro marinaro incontrò i pescatori, il personale della Capitaneria ancora con la speranza nel cuore che qualcuno potesse essersi salvato. Il parroco della Chiesa dell’Addolorata cercò di affiancarla nelle ricerche e la mise in contatto con tante persone che si prodigarono nel sostenerla moralmente e psicologicamente soprattutto quando il mare iniziò a restituire pezzi del relitto e la salma di Ivan Valic, secondo ufficiale di macchina. Il cadavere fu ritrovato accanto ad una zatterina di salvataggio. L’autopsia di quel corpo svelò che era sopravvissuto almeno tre giorni dopo l’incidente.

Da quel momento, pur se affranta dal dolore, Raina decise di dedicare la propria vita all’individuazione dei responsabili del mancato soccorso. Chi l’ha conosciuta la descrive come una donna minuta ma con un carattere di roccia. Nata in Bulgaria il 15 dicembre del 1914 a Kanzaluk, un comune adagiato alle pendici della catena montuosa dei Monti Balcani, era la secondogenita di una famiglia benestante. Trascorse un breve periodo della sua vita anche nella capitale Sofia. Dal suo paese natale si trasferì in Italia per intraprendere gli studi universitari conseguendo la laurea in Lettere a Roma. Si iscrisse all’albo dei giornalisti e per quarant’anni collaborò con l’Ansa, con Radio Belgrado, Radio Vaticana e Radio Onde Corte. Nel 1942 convolò a nozze con Frane Junakovic, un ufficiale marconista di bordo e da quell’unione nacquero due figli Ivan e Nikolaj. Nel 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale affrontò un lungo periodo di clandestinità ed in seguito, nel 1946, si trasferì con il marito in Jugoslavia. Da lì dovette affrontare ben dieci anni di battaglie legali per potere rientrare in Italia.

La sciagura della Seagull sconvolse per sempre la sua vita lasciandola vedova, con due figli a carico e in precarie condizioni economiche ma grazie al suo impegno nacque il Comitato Seagull che riuscì a portare in giudizio gli armatori che vennero arrestati ma che rinnegarono sempre la proprietà di quel fatiscente mercantile. La sua battaglia personale si trasformò in una battaglia per affermare diritti e dignità ai lavoratori del mare. Raina Dandulova aveva acquisito grande competenza sul diritto di navigazione e sul diritto internazionale e rispondeva puntualmente ad avvocati, giuristi, sindacalisti aggiungendo (come riferisce in un articolo Giacomo Vedda): “Io non ho fretta per i nostri morti annegati, loro ormai sono in pace: sono i vivi che hanno fretta, che hanno bisogno di giustizia da vivi”. Era evidente che tutto ciò che affrontava aveva lo scopo di evitare che sciagure simili  otessero provocare altri lutti e dolori.

Foto di Giovanni Salvio

Il Comitato Seagull ottenne l’emanazione della legge 4 aprile 1977 che attribuisce responsabilità civile e penale agli agenti marittimi, la modifica di alcune leggi del codice di navigazione, l’abrogazione di alcune circolari ministeriali inique e l’avvio delle pratiche per ratificare dei trattati internazionali. Raina Dandulova partecipò anche ai lavori dell’Organizzazione internazionale del Lavoro che si svolsero a Ginevra e a varie Conferenze del mare. Fu presente anche agli incontri dell’ITF, uno dei sindacati più importanti al mondo nei settori del trasporto, che conta ben 66 paesi membri. Non si sottrasse mai al dovere di fornire supporto tecnico e morale non solo ai familiari delle vittime dell’equipaggio della Seagull ma anche a quelli coinvolti in altri incidenti che purtroppo si verificarono successivamente come quello dello Stabia I, nel 1979, davanti al porto di Salerno, o del Tito Campanella affondato, nel 1981, al largo della costa di Bari per citarne alcuni.

Il Comitato Seagull di Licata istituì una ricorrenza annuale per non dimenticare le vittime di quel naufragio e di tutti i dispersi del mare e nel 1982, Raina Dadulova, venne chiamata alla cerimonia di inaugurazione di un monumento fatto erigere a fianco della Chiesa dell’Addolorata che riporta i nomi di tutto l’equipaggio. Ritornò sempre a Licata per la commemorazione fin quando la salute glielo permise. Si è spenta ad Ariccia, dopo lunga malattia, l’otto luglio del 2008 all’età di 93 anni.

Il 21 Marzo di quest’anno grazie all’Associazione Toponomastica femminile e alla proprietà dell’Hotel Al Faro, una camera dell’albergo è stata a lei intitolata. È la stessa camera in cui lei soggiornava quando risiedeva a Licata nei giorni della commemorazione che diventavano anche occasione per abbracciare affetti che le erano stati vicini e l’avevano supportata in quei terribili momenti. È la stessa camera in cui lei si sedeva nel balconcino ad osservare quel pezzo di mare che custodiva i resti di suo marito, il suo Frane che non poté mai avere una sepoltura diversa, nessuna tomba su cui adagiare un fiore.

 

 

 

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