Ecco di cosa si tratta. Una riflessione del filosofo Alfonso Maurizio Iacono

Se vado a teatro, si spengono le luci, c’è buio e mi capita di commuovermi, di perdermi: divento la storia, entro nella storia. Lo stesso vale per la lettura, la musica ecc. Noi ci troviamo davanti a una sorta di compresenza degli opposti. Ci immergiamo nella storia e con la coda dell’occhio percepiamo quel che sta al di fuori di essa. Crediamo e non crediamo, percepiamo e non percepiamo, stiamo dentro, ma non ci stiamo del tutto, siamo duplici: ci perdiamo nella storia, però nello stesso tempo non ci perdiamo. Cosa vuol dire? Nel caso di un quadro, in quanto finestra, il problema della cornice è esattamente questo: noi la percepiamo e, nello stesso tempo, non la percepiamo. Quando guardiamo attraverso, abbiamo bisogno, nello stesso tempo, di percepire la cornice, perché è essa che ci permette di dirci che l’universo di significato dentro il quadro è diverso da quello del muro. E’ banale, ma è così.
Ora, ritengo che, in un contesto epistemologico legato alla nozione di complessità, il problema della realtà debba essere connesso strettamente al problema dei confini, delle cornici, dei contesti che separano e, nello stesso tempo, congiungono gli universi di significato.
Siamo in grado di uscire da noi stessi e di saperci vedere con altri occhi. Per questo scrittori, pittori, psicoanalisti, filosofi sono ossessionati dal problema del doppio. E’ la ragione per la quale noi crediamo e non crediamo, ci coinvolgiamo e non ci coinvolgiamo. L’azione da sola, senza la capacità di trarsi fuori, rischia di diventare ripetitiva, cioè perde il senso di rottura, si naturalizza, si trasforma in comportamento. E’ necessario sapersi trarre fuori dai contesti, percepire le differenze. Noi, uomini duplici, capaci di vivere l’unità degli opposti e di attraversare i confini, sappiamo trarci fuori come osservatori e, al di là della cornice, guardiamo con altri occhi, come dall’esterno, quel che facciamo come attori.
Dopotutto – per riprendere le considerazioni di Giambattista Vico, sull’occhio che ha bisogno di uno specchio per vedersi e sulla mente che fa fatica a conoscere sé stessa – il difficile consiste nel fatto che, per riconoscerci veramente, dobbiamo vederci come altri. Per potere fare ciò, per poter cioè veder noi stessi come altri, abbiamo bisogno di conoscere e di comprendere la natura complessa dei nostri confini, delle nostre cornici, del nostro doppio.
Da questa ossessionante curiosità nasce il viaggio all’interno di noi stessi e attorno a noi stessi che grandi scrittori hanno intrapreso, facendoci provare tutte le paure che ci può produrre un viaggio: il rischio di perdersi e di non ritrovare la strada del ritorno, il timore di riconoscere nel proprio alter ego uno straniero. Un sentimento ambivalente: paura e curiosità insieme, emozione e conoscenza.
Dalle Metamorfosi di Ovidio con il mito di Narciso alla Meravigliosa storia di Peter Schlemihl di Chamisso, dal Naso di Gogol al Dottor Jeckill e Mister Hyde di Stevenson, dal Sosia di Dostoevskji al Compagno segreto di Conrad, dal Ritratto di Dorian Gray di Wilde alla Metamorfosi di Kafka, il tema del doppio si è configurato come una serie di viaggi inquietanti e pericolosi almeno tanto quanto quelli per si fanno per via di terra, di mare, di cielo.
Harold Bloom sostiene che i monologhi di Amleto annunciano la modernità in quanto sono dialoghi con il proprio doppio che hanno la capacità di modificare l’io. E del resto la famosa affermazione Cogito ergo sum non è altro che l’espressione di un doppio che si è emancipato da sé. Sono passi verso quel che Kant chiamava l’uscita dallo stato di minorità, cioè verso l’autonomia accompagnata necessariamente dal senso della critica.
Ma oggi, con il dominio dei social, stiamo tornando al dominio di ciò che chiamo Effetto Zelig. Di cosa si tratta? Woody Allen, nel suo film Leonard Zelig, ha descritto il bisogno mimetico alla stato estremo, l’urgenza di diventare l’altro fino al punto da non avere più un’identità propria. Ad un certo punto si svolge il seguente dialogo tra la Dott.ssa Eudora Fletcher e Leonard Zelig: “Dott.ssa Fletcher. E chi è allora, lei ? Zelig. Come sarebbe chi sono ? Non lo so. Queste domande sono difficili e…… Fletcher (interrompedolo) Leonard Zelig ! Zelig. Sì, senz’altro. Ma chi è costui ? Fletcher. Sei tu. Zelig . No. Io non sono nessuno. Non sono niente, io (sempre più angosciato, sprofonda nella poltrona) Tienimi su….sto cadendo.” (W. Allen, Zelig, Feltrinelli, Milano, 1990, p. 63.). Nel libro di Diego Lanza, Lo stolto (Einaudi, Torino, 1997), l’episodio di Zelig e in generale la sua storia e la sua figura è inserita nel contesto delle storie che vanno da Proteo al Gurdulù di Italo Calvino. Subito dopo aver citato lo stesso dialogo tra la dott.ssa Fletcher e Leonard Zelig, Lanza, a proposito di Ulisse e del suo bisogno di gridare alla fine il suo nome dopo che per astuzia aveva detto di chiamarsi nessuno, osserva: “Non essere qualcuno di definito e poter essere di conseguenza chiunque, cioè volta a volta tutti quelli che si definiscono “gli altri”, è condizione che soggettivamente può riuscire rassicurante o inquietante, ma che oggettivamente, quando non abbia la garanzia istituzionale del teatro, risulta sempre anomala” (ivi, pp. 126-127). Eppure anche essere come Zelig può esercitare una forte attrazione (cf. Allen, op. cit. , p. 29 e Lanza, op. cit., p. 128). E’ proprio questo il punto. Nell’epoca dei social l’essere nessuno si trasforma nell’effetto Zelig, cioè nell’appiattire e annullare il proprio doppio nell’altro, ma ciò non si presenta più come una condizione anomala, bensì come la base per identificarsi con il senso comune, come se la trasgressione rappresentata dallo stolto, fuori dal teatro ma dentro la vita, alimentasse il conformismo piuttosto che la capacità di guardare con altri occhi il mondo. Ed è forse per questo che l’effetto Zelig convive, con il narcisismo individualistico nello stesso momento in cui afferma l’annullamento dell’individuo. E’ come se Pierangelo Moscarda, il protagonista pirandelliano di Uno, nessuno, centomila, guardandosi allo specchio non si accorgesse più che il suo naso era storto. Nel secolo scorso questo fenomeno di annullamento del proprio doppio individuale portò al fascismo e al nazismo, oggi esso si afferma in ciò che chiamiamo libertà e democrazia.
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