Fondato a Racalmuto nel 1980

Cavallaro: “Anche Racalmuto è una Capitale della Cultura. Cosa fare”

Il giornalista, direttore della “Strada degli Scrittori”, lancia alcune idee sulle iniziative culturali di Racalmuto, in vista di “Agrigento 2025”. Senza dimenticare chi già si impegna nella sua Racalmuto, come le associazioni recentemente riunite dal Consorzio turistico nella sala del Consiglio comunale, proprio per interrogarsi sul futuro. L’occasione per aprire un confronto pubblico

Felice Cavallaro, giornalista e scrittore, direttore della “Strada degli Scrittori” (foto A. Pitrone)

A fine settembre, nel centenario della nascita di Aldo Scimè, il suo paese, Racalmuto, ha raccolto quanti lo hanno conosciuto da vicino per riflettere su un intellettuale che, come ha scritto il presidente della Repubblica, “costituisce riferimento morale e culturale”. Un nome iscritto nell’albo d’oro dei cittadini di Regalpetra, per usare l’immagine letteraria che ci riporta a Leonardo Sciascia di cui Scimè fu amico, consigliere e vice presidente della Fondazione allo scrittore intitolata.

E’ stata una grande occasione per rievocare l’impegno di un giornalista che fece nascere il primo nucleo della Rai in Sicilia, contemporaneamente impegnato nel Parlamento siciliano diventandone infine segretario generale, sempre vicino al mondo culturale, pronto a sostenere Elvira Sellerio nella nascita della piccola-grande casa editrice di Palermo, collante di grandi scrittori richiamati da Sciascia fra vigneti, ulivi e pini di Contrada Noce, da Consolo a Bufalino.

Ho avuto anch’io il piacere di ricordare l’intellettuale conosciuto da molto vicino, grazie all’invito della moglie, la signora Nina, dei figli Rosanna, Salvatore, Fabrizio. Grazie alla sollecitazione del sindaco Lillo Bongiorno. E con loro, fra gli altri partecipanti, ho voluto sottolineare la grandezza di un uomo consolidatosi nell’impegno civile anche accanto a Piersanti Mattarella. Insistendo poi, per quanto riguarda il suo paese, sul generoso sostengo alle iniziative che potevano fare accendere i riflettori su Racalmuto per la vita della Fondazione, per l’apertura del teatro, per offrire occasioni di sviluppo alla comunità.

Sta qui la misura di Scimè. Nel “fare”. Avrebbe potuto contemplare vigneti, ulivi e pini della sua campagna, senza nulla fare.Sette chilometri di distanza dalla contrada al cuore di Racalmuto sarebbero bastati per considerare il suo eden solo approdo di relax, dopo l’impegno in Assemblea, in Rai, alla Fondazione Whitaker, alla direzione della rivista Kalos e così via.

Invece, non appena tornava alla Noce, il pensiero correva a come animare la Fondazione, facendo un salto al Circolo Unione per incontrare gli amici, informarsi, organizzare la presentazione di un libro o di una mostra, occuparsi della strada tutta fossi, degli interventi necessari per sostenere iniziative culturali e produttive.

Aldo Scimè fotografato da Pietro Tulumello

Ecco perché commemorare Scimè, come abbiamo fatto in Fondazione, significa provare a immaginare acrobaticamente non tanto quel che avrebbe potuto pensare e fare lui ai giorni nostri, ma provare a scommettere su noi stessi per tentare di emularne spirito operoso e generosità. Pensando al presente e al futuro che possiamo vivere da notai indifferenti o da testimoni coinvolti. Scimè scelse l’impegno laborioso, sperando di non vedere arrancare il suo paese, come oggi accade a tanti piccoli centri siciliani, verso un declino che li porta allo svuotamento. Dormitori per pensionati. I giovani in fuga. Un destino forse non ineluttabile per Racalmuto. Grazie a quanto ha lasciato la presenza di Sciascia, di uomini come Scimè. Purché ce ne siano altri che oggi ne raccolgano la staffetta. Che fare? Io penso che oggi il ricordo debba costituire stimolo per interrogarci sul futuro di Racalmuto e della Fondazione Sciascia.

Immagino quanto avrebbe cercato di sperimentare davanti a scadenze come “Agrigento Capitale della Cultura 2025”. Scadenze che dovrebbero mobilitare quanti considerano la Fondazione il motore propulsivo di un circuito culturale capace di contaminare il territorio e di rivitalizzare un’intera economia, attraverso l’attenzione ai luoghi e ai personaggi di tanti libri.

Resto convinto che noi tutti, dobbiamo provvedere a una necessaria “contaminazione” per scrollare di dosso alla Fondazione stessa l’errata immagine di una Turris eburneafrequentata solo da pochi eletti. Errata rappresentazione. E per dimostrarlo basterà continuerà ad aprirsi all’esterno, cioè alle scuole, a circoli e fondazioni, case editrici, associazioni, musei. Chiamati a costituire una rete capace di offrire una proposta di studio, un’occasione di soggiorno, di creativo svago, di approfondimento, di accostamento al cinema e al teatro, alle arti che hanno trovato linfa vitale nelle opere di Sciascia e di tanti nostri Giganti.

A tutto questo si ispirava l’impegno di Scimè. Il sindaco Bongiorno che la presiede ha parlato della necessità di rilanciare l’attività della Fondazione. Oggi ancora di più occorrerebbe affrontare questa fase costruendo le opportunità. Chiamando a raccolta le energie vitali del paese. Delineando specifici progetti, forti di lettere e documenti lasciati da Sciascia, per attrarre un’attenzione culturale da trasformare in presenze fisiche di studiosi e ricercatori, visitatori e viaggiatori, da fare soffermare su tutto quanto ci ruota intorno.

Pensavo e penso a seminari, attività capaci di creare introiti destinati a personale, manutenzioni, sviluppo. Non sono nel CdA e non spetta a me dire cosa fare. Ma ho voluto potere esprimere un parere. E il parere di oggi coincide con la proposta di ieri. La parola d’ordine dovrebbe essere “apertura”. Appunto, porte aperte a studiosi e letterati, a viaggiatori e cittadini di Racalmuto, studenti, ragazzi da sostenere. Come in parte si fa con le “Giornate Sciasciane” dedicate alle scuole. Come succedeva con le settimane pirandelliane ad Agrigento, grazie al compianto prof. Lauretta. Occorre insistere su questa strada. Con leggerezza, con formule accattivanti per i giovani, con un’offerta culturale che sia riflessione e, allo stesso tempo, svago, divertimento, incontro.

Vedo nella Fondazione Sciascia il collante in grado di mettere a rete quanto già esiste nel territorio: dal Parco archeologico alle fondazioni teatrali, dal Fai di Agrigento alla Cultural Farm di Favara, dal Centro Russello alle Fabbriche Chiaramontane, giusto per fare qualche esempio.  Senza dimenticare chi già si impegna nella sua Racalmuto, come le associazioni recentemente riunite recentemente dal Consorzio turistico nella sala del Consiglio comunale, proprio per interrogarsi su futuro e “Capitale”.

Bisogna proporre progetti concreti. Con la “Strada degli Scrittori” ci proviamo, all’interno di un piano chiamato Le piazze della Capitale. Le “piazze” stanno intorno alla città, attorno ad Agrigento Capitale, e sono le piazze letterarie: la Vigàta di Camilleri, la Regalpetra di Sciascia, la Favara di Antonio Russello, la Palma di Montechiaro del Gattopardo, per dire che in questi luoghi si può costruire qualcosa di stabile, che resti ben oltre il 2025.

Racalmuto, al di là di fibrillazioni politiche e ritardi legati all’avvio della “Capitale”, può provarci impegnandosi, appunto, su “qualcosa di stabile”. E ho fatto riferimento alla miniera di sale gestita da Italkali, da me scoperta un giorno da ragazzo con Aldo Scimè. Parliamo di una fabbrica dove lavorano ottanta dipendenti, indotto a parte. Il sale di Racalmuto è conteso dalle più grandi aziende alimentari. Ma per noi è anche una opportunità culturale e di occupazione.

La miniera di sale di Racalmuto (Foto S. Picone)

Perché, a parte i mille chilometri di trafori scavati a centinaia di metri di profondità, ci sarebbe la possibilità, come già facciamo in via sperimentale, di utilizzare una galleria di duecento metri con accesso diretto dalla superficie. Parlo della dismessa Galleria Collura. A me indicata un tempo dal compianto presidente dell’azienda, l’avvocato Francesco Morgante, mostrando stalattiti e stalagmiti sotto una grande luminosa e fosforescente volta, parallela a un sentiero scuro, quello dei minatori che un tempo usavano la dinamite. Una galleria dove capisci che cos’è oggi la tecnica moderna e come si soffriva un tempo. Una passeggiata con i nostri Ciceroni d’Autore potrebbe diventare anche per i viaggiatori della “Capitale” un racconto sui carusi, sui minatori di un tempo, partendo dalle “Parrocchie” e da “Ciaula scopre la luna”, dai testi di Sciascia, Pirandello, Russello. Con video wall, pannelli, ologrammi, effetti audio.

L’esempio è Cracovia, in Polonia. La miniera di Wieliczka. Un villaggio dove, tutt’intorno al giacimento dismesso, dai percorsi stretti e bui, non luminosi come a Racalmuto, sono sorti alberghi, ristoranti, negozi in quantità, circondati da una teoria di pullman che vanno e vengono. Racalmuto potrebbe fare di più e meglio, in un luogo carico di storia e di letteratura.

Questa chiusura sulla miniera e sulla sua storia, il riferimento al rilancio auspicato dal sindaco Bongiorno, il richiamo ai migranti, a figli e nipoti dei racalmutesi di Hamilton ed altri approdi, come abbiamo fatto parlando di Aldo Scimè, potrebbe apparire una digressione. Quasi trascurando quel nostro “riferimento morale e culturale”. Al contrario, l’esercizio della memoria è utile solo provando a fare come lui, scommettendo sul futuro, evitando di restare immobili a contemplare vigneti, ulivi e pini, quasi indifferenti. Perché il rischio è di consegnare al futuro un dormitorio senza giovani.

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