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Si ritorna a scuola

Riparte l’anno scolastico, lasciandosi alle spalle il sapore delle vacanze estive.

Valeria Iannuzzo

Le vacanze sono letteralmente volate, quasi dematerializzate. Sembra che siano trascorse in un universo parallelo, vicino ma allo stesso tempo lontano, anzi lontanissimo. Ed ecco che la campanella torna a suonare e i nostri alunni rianimano gli edifici scolastici, risvegliando dal torpore i piccoli granelli di polvere sfuggiti alle mani attente dei collaboratori scolastici che in questi primi giorni di settembre si sono dati da fare per rendere accoglienti e pulite le aule scolastiche.

È così che riparte l’anno scolastico, lasciandosi alle spalle il sapore delle vacanze estive.

Dal 9 settembre i più temerari, nel tentativo di guadagnarsi qualche giorno di vacanza in più, tornano a scuola, sfidando il caldo e la penuria d’acqua. Del resto si doveva iniziare. “Meglio prima” dice qualcuno. E forse iniziare subito non è un male né per gli studenti né per i docenti. Entrare in classe è la parte migliore. È il momento in cui si ci riscopre pienamente umani: fragilità, emozioni e passioni riaffiorano dal nostro corpo per regalarci l’ebrezza del primo giorno di scuola.

Nuovi incontri, caldi abbracci, sorrisi e risate, ma anche pianti, paure e insicurezze accompagnano gli studenti al suono della prima campanella. Perché la scuola può essere bella per alcuni e meno per altri. Può essere facile, difficile, interessante o noiosa. La scuola può essere tutto e niente. A volte è come te la eri immaginata, altre invece no. Ma è pur sempre la scuola. È l’unico luogo dove nessuno può permettersi di diventare un’isola. È il luogo in cui, per quanto impegno ci metti per estraniarti, devi comunque avere a che fare con i tuoi simili. Devi, che ti piaccia o no, relazionarti con docenti e compagni, anche quelli che non ti piacciono. È l’unico posto, o quasi, dove sei costretto a condividere lo stesso spazio con quei compagni fastidiosi, noiosi, rumorosi, infinitamente diversi da te. Diversi da tutti. Sono quelli che tu magari non sceglieresti mai, ma con i quali a scuola sarai costretto a trascorre l’intera giornata. Sono quei bambini che se ne stanno lì, a sbattere per ore il loro astuccio sul banco, che piangono senza sosta, mentre un moccolo si ostina a pendergli dal naso. Sono quelli che ti urlano nelle orecchie, o ti mollano dei calci quando meno te lo aspetti. Sono gli stessi che vanno in bagno cinquanta volte al giorno, e che prima o poi con orgoglio uno dei compagni di classe si aggiudicherà il privilegio di accompagnare. Sono bambini che fanno fatica a seguire la maestra che spiega: sembrerà impossibile, ma dopo un paio di minuti la loro testa si trasferisce in un altro pianeta. Sono gli stessi che non riescono a stare fermi, che si dondolano sulla sedia, che temperano le matite ogni cinque minuti, strappano fogli, incollano le pagine dei libri, praticano fori sotto il banco come fanno tarli nei mobili antichi. Quando va bene te ne ritrovi uno in classe, puntualmente corredato da un’insegnante di sostegno e magari un’assistente alla comunicazione. Altre volte ce ne sono due, o magari tre insieme ad altri che per ragioni varie non sono certificati. Li chiamano BES, DSA, ADHD, ma fortunatamente, alla fine, oltre le diagnosi e le certificazioni, sono bambini che con la loro individualità rendono la scuola un posto inclusivo. Il luogo in cui le differenze aiutano a crescere, ad affinare la sensibilità, a sganciarsi dalla propria individualità, ad imparare dalle difficoltà.

Razionalmente nessun genitore sceglierebbe volontariamente di inserire il proprio figlio in una classe con questi bambini. Questi bambini danno fastidio, rallentano la corsa della classe. Tranne che per qualche rara eccezione, i genitori preferiscono facilitare le esperienze dei piccoli inserendoli in ambienti privi di complicazioni, distrazioni, problemi. Tendono a rendergli la vita facile, semplice, indolore. Scelgono, addirittura, i compagni da fargli affiancare, evitando abilmente eventuali situazioni di disturbo.

Tutto semplice, facile, indolore. Continuano ad allacciargli le scarpe, a soffiargli il naso, a preparargli lo zaino. Li imboccano mentre smanettano con lo smartphone, li accompagnano in palestra, al catechismo, a lezione di nuoto, a musica, al compleanno della compagnetta. Quasi fossero dei pacchi li lasciano e li prelevano, impedendogli di attraversare la strada da soli sino alla scuola media. Ecco perché i bambini non crescono. Non possono crescere. Gli rubano l’aria. Gli negano l’indipendenza, il piacere di fare da soli. E loro sono talmente abituati a farsi servire tanto da adagiarsi al ruolo di vittime quando malauguratamente ricevono un no.

Ovviamente a scuola è tutta un’altra musica. Qui non ci sono schiavi al servizio di piccoli lord. Le regole sono uguali per tutti, vanno condivise e applicate. La scuola è il luogo dell’autonomia, dell’autodeterminazione, della socialità. È lo spazio in cui le differenze si annullano per diventare potenzialità. Si impara dagli errori. Si impara dai compagni. Si impara a perdere senza farne un dramma. Ma si impara, soprattutto, aiutando chi sta più indietro, chi è più lento, chi non ce la fa.

La scuola non è dei più bravi, ma di chi vuol diventare migliore. E migliori non si diventa con un bel voto. I migliori sono quelli che sanno ascoltare. Sono quelli che sanno aiutare chi è in difficoltà. Quelli che affiancano i più deboli. Che rinunciano alla propria merenda per scambiarla con quella del compagno che ogni santo giorno porta un pacco di crackers. Sono quelli che consolano chi piange, battendogli la mano sulla spalla. Sono quei pochi, ma fortunatamente ci sono, che piangono perché hanno la febbre e non possono andare a scuola. Quelli che difendono la maestra dagli attacchi verbali dei compagni. Quelli che piangono l’ultimo giorno di scuola. Per loro le valutazioni ministeriali dovrebbero prevedere delle particolari menzioni.

Ma forse, è meglio di no. Sarà certamente la vita a ripagarli. Si distingueranno dai narcisisti, dagli egoisti, dagli asociali, dagli arrivisti e arrampicatori che a vario titolo popoleranno il loro cammino.

Bene, dunque, che la scuola abbia inizio. Dopo il suono della campanella, dentro ogni aula scolastica, i nostri studenti si riapproprieranno del loro lato più umano, tornando a vivere relazioni vere, lontani da smartphone e videogiochi. Si immergeranno nella vita vera, fatta di prove ed errori, di sconfitte e vittorie, di premi e penalità. Sotto l’occhio vigile dei loro insegnanti, pronti a sorreggerli ed aiutarli se necessario. Consapevoli che il loro compito non può sostituirsi o sovrapporsi a quello dei genitori. I docenti sono i capitani di una nave, che solca il mare della vita. È un mare pieno di tempeste e bonaccia. E con tante tantissime isole da scoprire e collegare.

 

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