Fondato a Racalmuto nel 1980

“Ci hanno nascosto Danilo Dolci”

Esce il 10 agosto, edito da Navarra, il nuovo libro di Giuseppe Maurizio Piscopo. Per Gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione di Salvatore Ferlita

Sarà nelle librerie a partire dal 10 agosto Il nuovo libro di Maurizio Piscopo “Ci hanno nascosto Danilo Dolci”, Navarra Editore, con l’introduzione di Salvatore Ferlita e la postfazione di Amico Dolci. 

Il testo narra gli aspetti salienti, che riguardano la vita di Danilo Dolci, il suo amore per i bambini e per le fasce deboli, la lotta contro la prepotenza mafiosa, il carcere ingiusto per un reato non commesso, e tanti altri.

Giuseppe Maurizio Piscopo. Foto di Angelo Pitrone

“Ho scritto questo libro – spiega Maurizio Piscopo – perché nei libri di testo della scuola elementare sono sempre state assenti le figure positive della nostra terra. L’ho vissuto  come una ingiustizia e in quinta elementare ho raccontato ai bambini la storia di questo grande sociologo, scrittore e profeta della nonviolenza. Nell’anno del centenario della nascita ho sentito il dovere di colmare questa lacuna”.

Per Gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione di Salvatore Ferlita, Docente Universitario e Critico letterario del giornale la Repubblica

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Il titolo di questo libro corale è già una dichiarazione programmatica, una specie di manifesto ideologico di Giuseppe Maurizio Piscopo.

Il quale ha trascorso gran parte della sua vita in mezzo ai bambini, facendo il maestro. Che è cosa ben diversa dallo svolgere il mestiere dell’insegnante: fare il maestro per Piscopo è stato un impegno morale prima che professionale. Una missione vera e propria, declinata fino alla fine avendo ben chiaro un aspetto: che sono i bambini i veri protagonisti dell’azione educativa.

Quanto avrebbe da insegnare ai giovani docenti Giuseppe Maurizio Piscopo: non certo teorie svilenti o paradigmi à la page, come quelli che straripano dai libri che affollano gli scaffali dei reparti specializzati.

Niente di tutto questo per fortuna: maestro nell’anima prima che per titoli conseguiti, Piscopo ha saputo ascoltare la voce dei bambini, valorizzarla sino a farne una segnaletica fondamentale. Senza mai lasciarsi prevaricare dall’eccedenza delle indicazioni ministeriali, esorcizzandole adeguatamente per garantirsi un margine sacrosanto d’autonomia. E questa sua esperienza, maturata negli anni, davvero andrebbe adeguatamente tesaurizzata. Come accadeva quando, nelle società tribali, le parole del narratore, cioè di colui che possedeva sapienza ed esperienza, venivano custodite alla stregua di un tesoro inestimabile, quindi trasmesse e consegnate a chi di esperienza ne aveva poca.

Ma oggi contano di più le circolari, le avvertenze, le note a piè di pagina, vergate in una lingua piagata dal terrorismo semantico: una lingua respingente e anticomunicativa, che ha fatto del burocratese una corsia preferenziale, dell’itanglese una specie di imbarazzante stampella.

E nel frattempo, mentre si continua a dar fondo a toni trionfalistici per nascondere la consunzione degli entusiasmi e l’evaporazione dei veri principi, la scuola si sgretola rovinosamente. Ma meglio far finta di niente, magari mettendo mano all’ennesima riforma, che ogni volta ha tutta l’aria di un’azione disperata, tanto da far pensare all’impellenza della pedicure da praticare a un malato terminale.

Per Giuseppe Maurizio Piscopo i bambini non sono mai stati oche da ingrassare per ricavarne un inservibile foie gras, ma sempre interlocutori appassionati. Nelle scuole dove ha insegnato, non dimenticandosi mai della predisposizione che solo i bambini hanno alla meraviglia, alla stupefazione, Piscopo ha praticato una maieutica basilare ma efficace, un po’ come quella promossa e sperimentata da Danilo Dolci. A lui questa volta ha guardato come a uno dei grandi personaggi del secolo scorso, a uno degli ultimi veri maestri ribelli, come dimostra questo libro. Che è sostanziato da un’utopia spiazzante: quella di portare al centro dell’attenzione dei più piccoli l’insegnamento e l’esperienza di Dolci, quest’uomo del Nord che una volta poggiato il piede in Sicilia è stato in grado di metterla a soqquadro, sollevando il velo di ipocrisia e ingiustizia che per troppo tempo ha nascosto ferite sanguinanti e cancrenose.

Salvatore Ferlita. Foto di Angelo Pitrone

Quanti tra i docenti e gli educatori (sempre più adagiati nei comodi ghirigori del sistema, servili a volte sino alla stupidità), viene da chiedersi oggi, sanno chi è stato Danilo Dolci? Quanti docenti hanno idea delle sue battaglie civili? Chi sono quelli che da Dolci hanno ricavato stimoli ed energie per il loro magistero?

La risposta è talmente avvilente che forse sarebbe meglio non darla. E se è vero che la nostra è un’epoca di commemorazioni, di riletture, di ritorni effimeri, mai come in questo frangente un anniversario come il centenario della nascita di Dolci può farsi necessariamente galeotto per far riscoprire uno dei pensatori più influenti della nonviolenza e della lotta tenace contro lo sfruttamento, la povertà, l’emancipazione del Sud. Per avvicinare allo sguardo dei distratti e degli inadempienti le pagine di questo sociologo sui generis, di questo straordinario poeta, di questo visionario mai pago, che continua incredibilmente a latitare nei libri di testo. Libri spesso inservibili, come sa bene Piscopo, votati a un’omologazione offensiva, marchiati a fuoco dal politicamente corretto.

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Il libro si avvale delle foto di Giuseppe Leone, di Melo Minnella, e quelle dell’archivio del Centro Studi, di un disegno di Tiziana Viola-Massa e di un brano dedicato al sociologo triestino dal titolo: “Spine Sante”,  trascritto da Gioacchino Zimmardi, eseguito alla fisarmonica da Maurizio Piscopo e Pier Paolo Petta.

 

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