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Relegate nel limbo delle ”fimmini strambe”

Storie. Furono invece donne che lottarono a fianco e spesso anche davanti agli uomini ma, come al solito, quasi nulla è rimasto della loro memoria

Ester Rizzo

A Palermo, nel 1953, al primo Convegno Regionale del P.C.I. delle” Donne di Campagna”, arrivarono 1.500 delegate: provenivano da tanti paesi della Sicilia, dove si lottava per l’occupazione delle terre incolte e per l’applicazione della Legge Gullo che prevedeva l’esproprio ai latifondisti e l’assegnazione dei terreni ai braccianti agricoli.

Furono donne che lottarono a fianco e spesso anche davanti agli uomini ma, come al solito, quasi nulla è rimasto della loro memoria.

Fortunatamente la studiosa e scrittrice Gisella Modica, nel 1977, raccolse le loro testimonianze recandosi, con un registratore a tracolla, in tanti piccoli paesi siciliani. Abbiamo così la possibilità, oggi, di ricordare ad esempio Rosaria Capaci di Piana degli Albanesi, centro che aveva una sede socialista femminile con più di mille iscritte. Rosaria era soprannominata “ a marescialla” e diceva che nella sua vita ”aveva fatto l’uomo invece che la donna”. Era stata raccoglitrice di olive, lavandaia dei panni dei nobili, raccoglitrice d’acqua alla fontana, intrecciatrice di saggina per fare scope…qualsiasi lavoro senza mai lamentarsi e sempre per sfamare i suoi otto figli. Affermava di essere nata comunista come suo padre ma sua sorella, che frequentava la Chiesa, si vergognava a dire che votava per il Partito Comunista Italiano. Lei, invece, quando arrivavano i dirigenti da Palermo per organizzare l’occupazione delle terre, si mobilitava convincendo le altre donne ad agire e partecipare attivamente. Dopo quattro anni di lotte a Piana degli Albanesi molte cose erano cambiate e a tanti contadini furono assegnate le terre ma a Rosaria non spettò nulla in quanto “suo padre era troppo sovversivo”: questa fu l’amara risposta.

Anche ad Annina Lo Presti di Prizzi dicevano che sarebbe dovuta nascere maschio e non femmina e se fosse stata maschio avrebbe dovuto ricoprire la carica di sindaco. Ma quando, nell’aprile del 1946 ci furono le elezioni, non fu messa in lista proprio perché ritenuta inaffidabile come donna.

Annina non demorse e chiese al nuovo sindaco eletto di essere convocata ad assistere a tutte le sedute del Consiglio Comunale. E così fu: lei era sempre presente con una folta delegazione di donne e un lungo elenco di cose da chiedere. Ottenne l’assistenza ECA per i più bisognosi e quando arrivavano i pacchi dell’UNRRA (Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza economica dei paesi danneggiati dalla guerra) era lei, secondo un rigorosissimo principio di equità, a distribuire farina, latte, olio e altri generi di prima necessità. In seguito fu nominata dal Partito Comunista Italiano, Responsabile delle donne di campagna e iniziò a girare per tanti paesi per parlare della legge Gullo e del diritto alla ripartizione delle terre.

Sempre a Prizzi viveva Concetta Mezzasalma che guidò il corteo per l’occupazione del feudo Pottino su un mulo e con la bandiera rossa in mano: al suo seguito 2.500 persone. Concetta non si fece assolutamente intimidire dai carabinieri che le intimavano di ritornare indietro.

Ed ancora tante altre: Vincenza Bruno di San Giuseppe Jato, Bernarda Sicala di Bisacquino, Antonietta Profita di Castellana Sicula, Adelina Sacco di San Cipirello. Donne battagliere e dignitose, tradite dagli uomini compagni di partito che non vollero o non riuscirono a cogliere la forte valenza delle loro lotte.

La memoria le ha relegate nel limbo delle ”fimmini strambe” ma sarebbe opportuno che le comunità locali ne recuperassero gesta e ricordo.

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