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Quel tragico 1992. Come dimenticare?

Le stragi di Capaci e di via D’Amelio. I ricordi di Giuseppe Piscopo, giornalista e docente dell’Istituto “Falcone Borsellino” di Favara

Giuseppe Piscopo

È la sera del 23 maggio del 1992. Insieme a Umberto Re, Giovanni Marchica e altri collaboratori eravamo nella redazione del mensile “La mela” per chiudere il numero di maggio e mandarlo in stampa. Tra un titolo ed un sommario avevamo la radio accesa. Iniziarono ad arrivare le prime frammentarie e terribili notizie da Palermo. A Capaci una bomba aveva ridotto a brandelli il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta. Non avevamo contezza della notizia.

Mi precipitai a casa ad accendere la tv. Al Tg1 fu Salvatore Cusimano a mandare in onda le prime terribili immagini. Shock totale. Rimasi incollato alla tv tutta la notte. L’indomani eravamo invitati a pranzo con Umberto e Giovanni e le nostre famiglie in una campagna di Canicattì a Serra Puleri da Gabriella Portalone Gentile, docente universitaria assistente del prof. Giuseppe Tricoli, amico fraterno di Paolo Borsellino. Di quel pranzo ricordo che tutti eravamo provati, feriti, offesi come siciliani perbene. Il nostro pensiero era fisso a Palermo e a quello che poteva succedere alla Sicilia intera.

Un mese dopo, all’altezza di Villa Sperlinga, partecipai alla catena umana che unì il Tribunale all’albero Falcone di via Notarbartolo. Palermo iniziava a ribellarsi. Io abitavo con tanti colleghi che mi piace ricordare (Giuseppe Failla, Giuseppe Salamone,  Giorgio Parrino, Michelangelo Pecoraro, Pietro Antinoro) in via Nicolò Garzilli, a pochi metri da via Libertà, nello stesso pianerottolo del giudice Alfonso Giordano, presidente del primo maxiprocesso.  Convivevamo con i militari dei Vespri siciliani di scorta davanti il nostro portone. Ed ogni giorno sentivamo le sirene della scorta di Falcone che sfrecciano sotto casa. A volte con un elicottero in volo. Un clima pesante. Il 19 luglio l’altro attentato in via D’Amelio. Venivano uccisi gli uomini di scorta ed il giudice Paolo Borsellino, in una calda domenica d’estate. Borsellino a pranzo era stato a casa da Peppino Tricoli, il mio carissimo prof che mi stava seguendo nella stesura della tesi di laurea. Io vivevo 5 giorni la settimana a Palermo tra facoltà e la redazione del Giornale di Sicilia e il fine settimana a Favara a curare il “mio” mensile La mela.

Rita Borsellino a Favara, ospite dell’Istituto Comprensivo “Falcone – Borsellino”

Un’estate che non dimenticherò mai. Come conserverò sempre il ricordo di un pranzo che feci a San Biagio Platani nel 1995 con Maria Falcone. Ero vicesindaco di Favara ed insieme al mio sindaco Lorenzo Airo’ incontrammo la sorella del Giudice Falcone, che ci raccontò il suo impegno nel ricordo del fratello. Anni dopo, da docente e direttore del giornale “L’Albero” (chissà perché questo nome dato alla testata…) della mia scuola, l’Istituto Comprensivo Falcone – Borsellino di Favara, coordinai l’incontro con Rita Borsellino. Mi colpì il suo dolce sguardo e la sua grande umanità. Qualche anno prima della sua morte andai a trovarla a Villa Niscemi a Palermo per intervistarla per Malgradotuttoweb per la sua collezione di oltre 300 presepi provenienti da ogni parte del mondo. Mi colpì la sua gioia nel presentare il momento gioioso della Natività, nonostante quel concetto di lutto che portava sempre nel cuore. Nel giorno dell’anniversario della Strage di Capaci ho voluto ricordare questi episodi che non potrò mai dimenticare.

 

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