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La buona educazione

Oggi sembra che nessuno sia più capace di far capire quanto sia importante e indispensabile 

Valeria Iannuzzo

Non dite mai ad un genitore che il proprio figlio è un maleducato, si potrebbe offendere. A dirla tutta potrebbe anche denunciarvi. Sì, proprio così, perché a nessuno piace sentirsi dire che il proprio figlio è un maleducato. Sarebbe come ammettere pubblicamente il proprio fallimento come genitore, come modello, come educatore. Perché maleducato, è un aggettivo, come si legge sul dizionario Treccani, che qualifica chi è stato educato male, chi ha ricevuto una cattiva educazione e si comporta abitualmente in maniera giudicata scorretta. Dunque, dire ad un genitore che suo figlio è un maleducato implica il fatto che quel genitore non ha saputo fare il genitore. Astenetevi pertanto dal richiamare un ragazzo che tira sassi ad un cane, sgomma con il motorino, sputa sui marciapiedi, non rispetta la fila in un negozio e così via.

Lasciate perdere. È una battaglia che non ha alcuna possibilità di successo. Perché? Perché se un ragazzo si comporta in questo modo è evidente che per lui è normale. Magari non è proprio questo il modello che ha ricevuto, ma è possibile che nessuno abbia rinforzato negativamente questo genere di abitudini. Nessuno è stato capace di fargli capire che la buona educazione è indispensabile per la convivenza civile, e che per quanto possa essere importante essere dei bravi studenti, dei fuori classe sul campo, degli influencer sul web, se non sei una persona educata le tue possibilità di successo sono veramente molto ridotte.

E poi, mi chiedo, che colpa abbiano i ragazzi se sono stati educati male. La loro educazione è il frutto del lavoro di genitori e insegnanti che spesso non riescono a comunicare, perché pur parlando la stessa lingua si pongono su posizioni diverse. Sempre più genitori si ostinano a fare gli adultescenti, continuando a comportarsi come adolescenti sebbene adulti. Pretendono di essere amici dei loro figli. Dimenticano che un padre è il pilastro a cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà. È la roccia a cui aggrapparsi in estremo pericolo. È l’ancora che non ti permette di andare alla deriva. L’amico è altra cosa. E questo molti padri non l’hanno capito. Lo stesso vale per le mamme che puntano tutto sul dialogo. Parlare, parlare è importante. Ma ascoltare no? Se non si ascolta, come si può comunicare. Molti ragazzi sono abituati, meglio legittimati, a parlare. Ti vomitano addosso tutto quello che pensano, senza filtri, senza freni inibitori. Ma poi quando arriva il momento di ascoltare volgono il loro sguardo altrove. Ti dicono chiaramente che non gliene frega niente di ciò che stai dicendo. Ti squalificano. Se lo fanno, si vede che funziona. E se funziona è giusto. Questo molte madri non lo vogliono capire.

Allora che fare? Bisognerebbe azzerare tutto. Ripartire da capo. Ripensare a cosa vuol dire essere buoni genitori e buoni insegnanti. Comprendere che buoni è diverso da popolari. Anzi, spesso essere buoni genitori, buoni insegnati, buoni educatori, vuol dire proprio essere impopolari. Vuol dire saper dire dei no sicuri. Vuol dire far capire che nella vita non tutto è possibile. Vuol dire insegnare a cadere. Perché la vita non è fatta solo di successi, ma anche di sconfitte, di cadute. Ed è lì che devi essere bravo: devi insegnare a tuo figlio a pararsi la faccia. Devi esserci affinché possa piangere sulla tua spalla, asciugargli le lacrime quando è necessario. E poi, fargli capire che non tutto è scontato. Che bisogna guadagnarsi ogni singola cosa, con il lavoro, il sacrificio, l’impegno.

Bisogna che imparino ad essere grati, per ogni cosa. Forse educarli ad utilizzare “Grazie”, “Per Favore”, “Scusi”, a dare del “Lei”, sarebbe un buon inizio. Dare del “Lei”! In Veneto, qualche anno fa, hanno dovuto scomodare l’assessore regionale Elena Donazzan per ricordare ai docenti che dare del lei sarebbe un buon modo per ricostituire i ruoli. Alzarsi in piedi quando entra un insegnante risulterebbe una forma di rispetto. Ma cancellare decenni di storia scolastica in cui le maestre e i professori hanno preteso di essere vicini agli studenti cercando di essere figure a loro familiari, magari ponendosi spesso sullo stesso piano, annullando i ruoli? Del resto gli insegnati popolari sono quelli che mettono bei voti, non richiamano gli alunni, danno pochi compiti. Chi non vorrebbe essere popolare? Anche gli insegnanti, allora, a volte responsabili quanto i genitori della cattiva educazione dovrebbero ripensare al loro ruolo.

Cambiare metodo. E quale metodo migliore se non il buon esempio? L’esempio. È questa la chiave del problema. L’esempio. Quanti di noi nel chiedere l’acqua a tavola, durante il pranzo, fanno precedere il “Passami l’acqua” dal “Per favore”? Quanti di noi dicono “Grazie” dopo averla ricevuta?

Credetemi il numero è così ridotto da non essere degno di considerazione. Ancora una volta, il prodotto del nostro cattivo esempio è la maleducazione. Siamo noi gli artefici di questo disastro. Siamo noi che non sappiamo proporci come modelli. Forse perché non abbiamo nulla da proporre. O forse perché la regola del “Tutto scontato” è la nostra regola generale. Allora sovvertiamo le regole. Sarà dura all’inizio. Ma forse solo così potremmo evitare il peggio.

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