Fondato a Racalmuto nel 1980

“Se all’uomo in questa vita non ci incontra aventure, non avete niente darracontare”

Vincenzo Rabito, storia di uno scrittore semianalfabeta e del suo capolavoro, Terra Matta. “Cinquant’anni di storia italiana patiti e raccontati con straordinaria forza narrativa”

Nel nostro fotomontaggio Vincenzo Rabito e la copertina di Terra Matta

Era uno dei ragazzi del ’99, ovvero nato nel 1899 e mandato, come tanti, a combattere la prima guerra mondiale. Ma combatté anche la seconda, dopo aver vissuto il ventennio con quella testa di antare affare solde all’Africa. E visse i difficili anni del dopoguerra per poi gettarsi – impriaco di nobilità – in quelli spumeggianti del boom economico degli anni sessanta (bella ebica) sempre al limite, oppresso da sotterfugi, furberie, stenti e strategie e ritrovandosi come la tartaruca, che stava arrevanto al traguardo e all’ultimo scalone cascavo.

Si sta scrivendo di un uomo tanto vero e reale che difficilmente potrebbe essere considerato il protagonista di un romanzo, addirittura del romanzo della sua stessa vita: Terra matta. Ma tant’è. Il siciliano Vincenzo Rabito fu bracciante, soldato, minatore ma all’improvviso sentì il bisogno di chiudersi “a chiave” nella sua stanza ed ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia.

Ha scritto, una dopo l’altra, milleventisette pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua maletratata e molto travagliata e molto desprezata vita”. E Vincenzo ci ha anche lasciato scritto che se all’uomo in questa vita non ci incontra aventure, non avete niente darracontare.

Ecco, dunque, rivelataci la sua essenza di uomo e di narratore, un personalissimo istinto che lo sprona alla stesura di un testo anomalo ma talmente originale nella sua “forma-sostanza” da far gridare al capolavoro. Ed è infatti quel che è successo quando il figlio di Vincenzo, Giovanni, dopo la morte del padre avvenuta nel 1981 – trovandosi tra le mani i sette quaderni originali dell’opera e dopo aver passato intere notti a renderli leggibili e ad adattarli per poter essere meglio apprezzati – invia il lavoro in forma ridotta all’Archivio Diaristico Nazionale (fondato da Saverio Tutino a Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo) dove partecipa al Premio Pieve-Banca Toscana, folgorando la giuria – che richiede anche i manoscritti originali per il museo – e vincendo il concorso nel 2000.

Il resto fa parte della storia letteraria italiana degli ultimi anni, poiché l’autobiografia in forma di romanzo scritta da Vincenzo Rabito viene pubblicata dall’editore Einaudi, facendo incetta di critiche osannanti, come quella di Andrea Camilleri, secondo il quale in “Terra matta  vi sono cinquant’anni di storia italiana patiti e raccontati con straordinaria forza narrativa come in un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso”.

Gli intrecci del destino sono spesso curiosi e affascinanti, se si pensa che Vincenzo Rabito nacque nello stesso anno in cui morì l’antropologo e studioso di tradizioni siciliane – nonché romanziere e autore di prosa – Serafino Amabile Guastella (a sua volta nato nello stesso paese della provincia di Ragusa, Chiaramonte Gulfi, in cui nacque anche Rabito), quasi a volersi scambiare un ideale testimone sull’osservazione della natura stessa della società siciliana.

Le parole usate in Terra matta – scandite nel manoscritto originale da un punto e virgola dopo ogni vocabolo – rievocano un linguaggio vivo ed energico, redatto mediante un amalgama letterario – tra lingua italiana e dialetto – assolutamente irresistibile.

Un’espressione della più genuina essenza del vivere la propria vita lottando sempre e necessariamente per tentare di sciogliere i nodi di una realtà travagliata e intensa, anche se a tratti tragicomica per le situazioni narrate. Una scrittura non rispettosa delle regole e dei canoni linguistici, ma che – forse proprio per questo – risulta essere uno schietto e coinvolgente strumento di catarsi personale e letteraria, chiaro segno che le parole, a volte, possono dare un maggiore senso e un ulteriore valore all’esistenza. Un’opera che sembra essere stata scritta da un autore dall’invidiabile fantasia ma che invece dimostra come la vita possa realmente essere un romanzo, rocambolesco e intrigante, degno d’essere vissuto.

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