Storie. Una lotta che in alcune parti del mondo continua ancora oggi.
In tutti i secoli, e in ogni parte del pianeta, le donne hanno dovuto lottare, e purtroppo ancora oggi lottano, per ottenere il diritto all’istruzione.
Basta ricordare la vicenda di Malala – vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2014 – e la sua coraggiosa e tenace lotta per garantire alle bambine di studiare in tutti quei territori dove il fondamentalismo ed il terrorismo islamico non permettono al genere femminile di accedere all’istruzione. Il Nobel che le è stato assegnato è un Nobel alle tante bambine del mondo povero che percorrono a piedi chilometri e chilometri per raggiungere piccole aule di piccole scuole sparse fra deserti di sabbia, di fango e di roccia.
Per quanto riguarda il continente africano dobbiamo ricordare l’impegno di un’altra Nobel, Rita Levi Montalcini e della sua Fondazione che permette alle ragazze africane di studiare. La grande scienziata aveva intuito, più di un ventennio fa, come l’accesso all’istruzione rappresentasse un volano di progresso per l’intera società di cui le donne fanno parte e come esistesse un nesso inscindibile tra istruzione di genere e sviluppo socio-economico dei Paesi africani.
Sulla base di una sintetica ricerca, nel 1900, nella nostra nazione, erano duecentocinquanta le donne iscritte all’Università, mentre, nel 1901, quasi la metà della popolazione era analfabeta (il 48,7%), le donne in misura maggiore rispetto agli uomini. Ma, per ironia della sorte, sono state proprio le donne ad alfabetizzare gli italiani in quanto più di sessantamila maestre iniziarono a diffondere l’alfabeto e l’aritmetica sia nelle grandi città che nei piccoli paesi di provincia.
Nel 1926 il regime fascista iniziò ad ostacolare l’istruzione femminile: le donne furono escluse dall’insegnamento dell’italiano, del latino, del greco, della storia e della filosofia nei licei. Nel 1929 il governo di Mussolini aumentò mediamente del 40% l’importo delle tasse scolastiche per le studentesse che frequentavano la scuola media e l’università. Le donne però non demorsero, anzi la scolarità femminile aumentò costantemente durante gli anni Trenta fino a raggiungere, nell’anno accademico 1990/91, un dato importante: il numero delle laureate superò quello dei laureati.
Fu proprio italiana la prima donna laureata al mondo, Elena Cornaro Piscopia, nata a Venezia nel 1646. Elena non riuscì a laurearsi in Teologia, come avrebbe desiderato, a causa dell’opposizione del cardinale Gregorio Barbarigo ma, nel 1678, si laureò in Filosofia all’Università di Padova.
Furono invece due le prime donne laureate in Scienze naturali nel Regno d’Italia, nel 1881, Evangelina Bottero Pagano e Carolina Magistrelli. La prima era nata ad Acqui nel 1859, la seconda a Mantova nel 1858. Tutte e due diventarono professoresse ordinarie presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Roma ma, con la riforma voluta da Giovanni Gentile, le loro cattedre vennero soppresse: l’allora ministro della Pubblica Istruzione mal tollerava, infatti, quella che definiva “l’invasione nelle università da parte delle donne”.
Molto prima di Evangelina e Carolina, Cristina Roccati fu la prima donna a laurearsi in Filosofia il 5 maggio del 1751. Cristina era nata a Rovigo nel 1732 ed era talmente talentuosa che a soli quindici anni venne invitata ad una seduta dell’Accademia dei Concordi di Rovigo e onorata come poetessa. A Bologna, oltre agli studi letterari, frequentava corsi di logica, di fisica, di scienze naturali e di geometria, interessandosi anche di meteorologia e astronomia. Dopo la laurea si recò a Padova per studiare la fisica newtoniana, il greco e l’ebraico e nel 1754 diventò presidente dell’Accademia dei Concordi. Sono arrivate sino a noi cinquantuno sue lezioni di fisica dalle quali emerge, oltre la competenza della materia, una grande passione per la divulgazione del sapere e per la ricerca. Cristina si spense a Rovigo il 16 marzo del 1797.
La prima iscritta dopo l’Unità d’Italia, nel 1878, alla Facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, fu Giuseppina Cattani, di Imola, amica di Anna Kuliscioff, che si laureò nel 1884. Nel 1894, Teresa Labriola fu la prima donna a laurearsi in Giurisprudenza all’Università di Roma, ed ottenne nello stesso ateneo la libera docenza in Filosofia del Diritto. Tra i suoi scritti: Studio sul problema del voto alle donne e Del feminismo: come visione della vita.
Giuseppina Cinque, nel 1892, fu la prima laureata in Medicina all’Università di Palermo. E Grazia Calderara Muscatello la prima che si laureò in Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali all’Università di Catania nel 1902.
La prima donna a ottenere in Italia il titolo di ingegnera fu Emma Strada, che si laureò con lode il 5 settembre del 1908 al Politecnico di Torino. Emma è stata inoltre la prima presidente dell’AIDIA, l’Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architette che si costituì per il volere di un’altra donna, l’ingegnera Maria Artini. A Moncalieri, una scuola elementare è a lei intitolata.
In Francia le donne furono ammesse all’università nel 1863 e il primo ateneo ad accoglierle fu quello di Lione, mentre a Parigi la prima iscrizione femminile fu accettata nel 1867, lo stesso anno in cui si aprirono alle donne le porte delle università anche in Svizzera. Nel Regno Unito fu l’ateneo di Londra a “concedere legalmente” la prima laurea a una donna ma bisogna aspettare il 1878 per le facoltà della Germania. In quell’anno infatti fu emesso un decreto che permetteva alle donne di essere ammesse ma soltanto ad alcuni corsi, lasciando ai docenti la discrezionalità di decidere caso per caso.
Tra le europee, Sarmiza Bildescu è stata la prima donna al mondo a conseguire un dottorato in Diritto. Di nazionalità rumena, si laureò nel 1890 alla Sorbona di Parigi discutendo una tesi dal titolo “Sulla condizione legale della madre”. Quando nel 1884 si iscrisse all’università, il consiglio accademico l’autorizzò a frequentare le lezioni solo se accompagnata dalla madre o dal marito.
Aletta Henriette Jacobs fu la prima donna olandese a laurearsi in Medicina nel 1878. Era nata nel 1854 a Sappeneer, una piccola città nei Paesi Bassi. A tredici anni rifiutò categoricamente di frequentare la “scuola per signorine”, dove sarebbe diventata una sarta, e pretese di poter continuare a studiare, pur se in casa. Fu accontentata: la madre le insegnò il francese e il tedesco, il padre il greco e il latino. Nel 1870 si iscrisse all’Università di Groningen al corso di medicina. L’ambiente universitario era ostile poiché non accettava che una donna potesse diventare medica. Quando, dopo tanti sacrifici, aprì un suo studio, iniziò a curare le donne bisognose di Amsterdam, le più povere e le prostitute. Si occupò del problema del controllo delle nascite distribuendo il “mensinga pessary”, una sorta di diaframma che evitava le gravidanze indesiderate. Nel 1903 abbandonò la professione medica per dedicarsi alla causa del diritto di voto alle donne, diventando presidente dell’associazione delle suffragette olandesi. Durante la sua vita Aletta raccolse un insieme di libri, di pamphlets e di periodici riguardanti il movimento femminista e ancora oggi questa raccolta è considerata la più ricca e interessante esistente.
Sophia Gregoria Hayden fu la prima americana a conseguire la laurea, nel 1890, in Scienze dell’Architettura al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Era nata a Santiago del Cile nel 1868, da padre statunitense e madre peruviana. Risultò vincitrice di un concorso per l’Esposizione Universale di Chicago ma le diedero un premio di circa millecinquecento dollari mentre precedentemente, ai suoi colleghi maschi, erano state elargite somme da tre a dieci volte superiori. Inoltre, dopo l’Esposizione, l’edificio che aveva realizzato venne distrutto, mentre le altre opere vincitrici progettate dai colleghi furono smontate e ricostruite altrove.
Concludiamo ricordando Mary Astell che fu, nel XVII secolo, la prima donna a proporre ufficialmente la fondazione di un’università femminile in Inghilterra, così da permettere alle donne di frequentare i corsi universitari a loro preclusi. Mary, nata nel 1666, decise di spezzare il circolo vizioso di inferiorità culturale e di ignoranza in cui erano imprigionate le donne. Istruire il genere femminile era per lei una premessa irrinunciabile per vivere libere e senza condizionamenti. Mary era colta, intelligente e determinata e divenne un modello da seguire per le altre donne della società inglese del XVII secolo. A venti anni decise di trasferirsi a Londra con la ferma intenzione di non sposarsi e di dedicarsi alla letteratura. Così scrisse: “Non pretendo di essere ricca o potente, né corteggiata o ammirata, né elogiata per la mia bellezza né esaltata per il mio ingegno. Ahimè! Niente di questo merita il mio impegno o il mio sudore, né può contentare le mie ambizioni; la mia anima, nata per altro, di più, mai si sottometterà a tali cose, ma sarò qualcosa di grande in sé e non nell’apprezzamento del volgo”.