Fondato a Racalmuto nel 1980

Tony Scott, era di origine siciliana uno dei più grandi clarinettesti del jazz

Storie. I suoi genitori emigrarono dalla lontana Salemi nei primi anni del ‘900. Nel 2010 il regista palermitano Franco Maresco ha raccontato la sua storia nel film “Io sono Tony Scott. La storia del più grande clarinettista del jazz”, prodotto da Cinico Cinema e Rai Cinema.

Antonio Fragapane

Lo scrittore Haruki Murakami una volta scrisse che ritmo, armonia e improvvisazione sono i tre elementi che il jazz mi ha trasmesso. Gli stessi tre elementi che molti anni prima furono sublimati, con rapidi e dinamici movimenti sonori, da quello che è universalmente considerato il più grande clarinettista jazz di tutti i tempi, ovvero Tony Scott, al secolo Anthony Joseph Sciacca, nato a Morristown, cittadina del New Jersey, il 17 giugno del 1921.

I suoi genitori emigrarono dalla lontana Salemi nei primi anni del ‘900 e si trasferirono nel New Jersey, dove il padre iniziò a lavorare come barbiere e la madre, casalinga, si prese cura del piccolo Tony, che molto presto iniziò a mostrare il suo talento musicale e la sua particolare propensione per i ritmi. Fu infatti lo zio – direttore della banda musicale di Salemi – che lo convinse ad avvicinarsi seriamente agli studi musicali e a iscriversi alla prestigiosa Juilliard School di New York, da dove, giovanissimo, uscì con in tasca un diploma in clarinetto, strumento che eleverà a dei livelli artistici mai raggiunti prima di allora. In seguito, sempre a New York, frequentò anche la Scuola di Musica contemporanea e nella Grande Mela si fece coinvolgere totalmente dal trascinante clima musicale che si respirava negli storici locali di Harlem, dove i migliori interpreti del blues, proprio in quegli anni, stavano dando il meglio, contribuendo a contrassegnare quel periodo come l’”Epoca d’oro” di una nuova arte musicale, il jazz. Tony Scott, dopo le fondamentali esperienze d’improvvisazione sui polverosi palchi dei locali newyorkesi, iniziò a collaborare con i più grandi nomi del firmamento jazzistico di allora, da Charlie Parker alla sua grande amica Billie Holiday – per la quale fu anche pianista, arrangiatore e direttore d’orchestra – fino a incrociare sul palco il genio improvvisatore di Keith Jarrett.

Ma i concerti non costituirono il solo nutrimento artistico e umano per Scott, il quale spinto da una curiosità intellettuale e culturale fuori dal comune, viaggiò e visse in molte parti del mondo, tanto diverse tra loro per tradizioni, climi e atmosfere. Fu ospitato in Africa, dove si appassionò ai ritmi tribali, allora sconosciuti. Ebbe esperienze umane e musicali in Cina, Giappone e Indonesia, dove svolse una vera e propria opera di esplorazione delle musicalità locali, rimanendone fortemente influenzato. Ma conobbe anche l’Europa e le sue numerosissime e affascinanti anime sonore. Da tali conoscenze ed esperienze seppe estrarre un suono unico ed esclusivo che lo portò alla ribalta internazionale facendolo diventare un assoluto innovatore della tecnica musicale, tanto da affiancare senza timori reverenziali, in memorabili jam session e concerti, un mostro sacro del calibro di Duke Ellington. Di lui si scrisse che aveva il più grande suono del mondo, che era la più potente nuova influenza nel jazz e che qualsiasi sia il tempo, l’atmosfera, lui dipinge come con un raffinato pennello. E l’autorevole The New York Times si espresse addirittura in tali termini: è il più eccitante musicista jazz. Tony Scott invece amava dire che non suonava il clarinetto come uno strumento ma come parte del suo corpo e del suo spirito e che il jazz è nero e certamente lui nero si sentiva, poiché i siciliani sono degli africani che nuotano meglio.

Dal Film di Franco Maresco “Io sono Tony Scott”, prodotto da Rai 1 e Cinico Cinema. Agosto 2010

Fu un uomo autenticamente libero, nel bene e nel male, spesso in duetto con i più grandi di tutti i tempi ma lontano dai luoghi comuni e dagli ingranaggi opprimenti dello star system. Probabilmente si deve alle straordinarie suggestioni sonore che Scott ricreò nel suo album più famoso, Music for Zen Meditation, la prima apparizione delle atmosfere ritmiche che anni dopo caratterizzeranno quello che diventerà il celebre e affascinante fenomeno musicale e filosofico della New Age.

Ma dopo la splendida e ascendente parabola internazionale, la carriera di Scott subì un veloce declino, in parte causato anche dalle polemiche in cui si impantanò e che gli impedirono spesso di dedicarsi a ciò che meglio sapeva fare. L’aspra contesa infatti fu con Harry Belafonte, per il quale Scott diresse l’orchestra che incise la celebre canzone Banana Boat Song, motivo musicale che Belafonte portò al successo internazionale senza mai specificare che l’idea di inserire nella canzone  il tipico canto della tradizione giamaicana fu dello stesso Scott. Ma polemiche a parte, il crepuscolo della sua stella artistica fu inesorabile e lo portò negli anni sessanta, malinconicamente sconosciuto, a trasferirsi definitivamente dagli States a Roma, dove morì il 29 marzo del 2007 nell’oblio quasi totale (gli furono dedicate poco più di dieci righe in poche cronache locali), per poi essere sepolto in una anonima tomba a Salemi.

Con l’intento di recuperarne la memoria, si è interessato alla figura di Tony Scott il regista palermitano Franco Maresco, che nel 2010 ha diretto il film  Io sono Tony Scott. La storia del più grande clarinettista del jazz, prodotto da Cinico Cinema e Rai Cinemaun tributo video di oltre due ore dedicato a questo straordinario artista. E per ovviare al colpevole ritardo, tale contributo cinematografico ha costituito anche l’occasione per decidere di erigere – sempre nella stessa cittadina di Salemi – un monumento sepolcrale degno dello spessore e dell’arte di questo figlio della migliore essenza della nostra terra, il cui essere siciliano, secondo Maresco, “sta in quelle qualità che vedi negli isolani fuori dall’isola, nella fantasia, nella determinazione, nello spirito competitivo, nella competenza e nella generosità”.

 

 

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