Storie. La sua travagliata ed effimera esistenza
Oggi in quel punto, l’unico elemento di cui ormai può godere la vista dello spettatore è l’immensa distesa azzurra di mare africano.
Ma non sempre è stato così. I primi avvistamenti infatti risalgono addirittura al periodo della prima guerra punica, intorno alla metà del III secolo a. C. In seguito, nel ‘600, alcuni scogli piuttosto notevoli apparvero per poi scomparire più volte. Ma la sua più significativa emersione si ebbe nel 1831, nella notte fra il 10 e l’11 luglio, quando nel tratto del Canale di Sicilia compreso tra la costa di Sciacca e Pantelleria si ebbero alcune fortissime scosse sismiche che si unirono all’intensa attività di uno dei coni accessori del vulcano Empedocle, un rilievo sottomarino presente in quell’area e comparabile, per larghezza della base, all’Etna.
In quei giorni gli abitanti della costa interessata da tale inedito fenomeno testimoniarono di aver visto colonne di fumo in lontananza, così come tutti gli equipaggi delle navi di passaggio confermarono la presenza, in quel tratto di mare, di un nuovo lembo di terra costituito da materiale vulcanico, da cui zampillavano cenere e lapilli (e le cui misure vennero poi stimate in quattro chilometri di circonferenza e sessanta metri d’altezza).
L’evento, di fatto, fu di eccezionale rarità: dal mare era appena sorta una nuova isola. Ancora senza nome, sin dal suo primo avvistamento ufficiale catturò immediatamente l’interesse di quegli Stati stranieri alla continua ricerca di nuovi e strategici approdi navali nel mar Mediterraneo, bacino da sempre considerato un’importante area per il commercio mercantile e per lo scacchiere politico-marittimo internazionale.
La prima nazione ad avanzare pretese territoriali sulla nuova terra fu l’Inghilterra, che provvide a chiamarla Graham (nome tra l’altro ancora in uso per identificare il banco sottomarino di cui fa parte) e a farvi piantare la propria bandiera dal capitano Jenhouse. Ma anche la Francia, appresa la notizia, manifestò da subito un forte interesse per il nuovo isolotto sorto nel mare nostrum, tanto da inviare il capitano La Pierre a capo di una spedizione scientifica che la chiamò Iulia (poiché era sorta nel mese di luglio) e che vi realizzò approfonditi controlli e accertamenti tecnici, rivelatori di una già forte erosione del nuovo isolotto, inesorabilmente destinato secondo gli stessi francesi a scomparire molto presto.
Rilevata una sempre più crescente attenzione a livello internazionale, fu però il re Ferdinando II che vi fece apporre il vessillo borbonico dal capitano Corrao e ne ufficializzò l’appartenenza al territorio del Regno delle Due Sicilie, ribattezzandola (in proprio onore) “Ferdinandea”, nome che allora come oggi la identifica.
Tuttavia, quest’ultimo gesto divenne la scintilla per l’innesco di un incidente diplomatico, poi rientrato, tra la casa reale borbonica e l’Inghilterra, poiché secondo uno dei più antichi e solidi principi del diritto internazionale, all’isola era riferibile lo status di insula in mari nata, ovvero territorio sorto in mare e quindi rivendicabile dallo Stato che per primo ne avesse acquisito il possesso (nel caso specifico l’Inghilterra), anche se la situazione risultava essere ulteriormente complicata dal fatto che quello che appariva essere un grande scoglio fosse però sorto in acque siciliane, quindi borboniche. La controversa e spinosa questione, per evitare inutili ingaggi militari in loco, venne prudentemente rimessa ai rispettivi governi (con l’ulteriore aggiunta della rappresentanza francese) che però non ebbero neanche il tempo di approfondirne i tanti e delicati aspetti giuridici e tecnici, poiché Ferdinandea già nel dicembre dello stesso anno scomparve, velocemente erosa e inghiottita dallo stesso mare da cui si era elevata.
Successivamente si ebbero notizie di una sua nuova emersione sia nel 1846 che nel 1863, per poi sgretolarsi e scomparire nuovamente. Ma l’isola fece parlare nuovamente di sé nel 1968, quando il terremoto che squassò la Valle del Belìce rese torbide le acque superiori al banco di Graham, tanto che si pensò a un nuovo ergersi in superficie di Ferdinandea, evento che allarmò alcune navi britanniche presenti nell’area. All’interesse britannico – memori delle azioni della Reale Marina inglese nel 1831 – si reagì posizionando sul vertice del banco inabissato una stele in pietra, contenente l’eloquente scritta “L’isola Ferdinandea era e resta dei siciliani”. In seguito avvenne uno strano (e in parte ancora misterioso) episodio che coinvolse ciò che rimane dell’isola che non c’è: nel 1986, un aereo dell’aeronautica militare americana, avendola confusa per errore con un sommergibile libico, la colpì con un missile, in tal modo sgretolandone una parte.
Ferdinandea, nella sua tanto travagliata ed effimera esistenza, è stata anche oggetto di particolari attenzioni e riflessioni letterarie di grande interesse, trovandosene infatti una descrizione nel Viaggio in Italia di Alexander Dumas per poi riscoprirla, in tempi molto più recenti, nel romanzo Un filo di fumo dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri. E dell’isolotto sommerso a largo di Sciacca rimangono anche i tanti nomi che gli attribuirono: Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca e Ferdinandea. L’isola dei sette nomi, appunto.
Pochi anni fa, nel 2002, una ripetuta vivacità tellurica nella zona indusse gli specialisti – che da anni monitorano costantemente il banco Graham – a considerare possibile una nuova emersione di Ferdinandea e a scongiurare anticipatamente un’ennesima e probabile diatriba territoriale fra Stati con l’affissione del tricolore italiano sulla cima dell’isolotto (che negli anni ha generato una secca sommersa a circa otto metri di profondità). E per controllare ulteriormente tale area marina, nel 2006 una spedizione congiunta della Lega Navale di Sciacca e della Protezione Civile siciliana ha permesso l’apposizione di una sofisticata apparecchiatura sismografica sulla vetta dello stesso rilievo vulcanico sottomarino, in modo da controllarne costantemente l’attività. Non sia mai che Ferdinandea, stanca della sua invisibilità, all’improvviso torni a farsi rivedere.