La cucina siciliana tra storia e curiosità: Street food catanese
Sponda ionica siciliana, appena sotto un enorme monumento alla potenza incontrollabile della natura. Siamo a Catania, la città il cui nome rappresenta un dilemma tra l’etimo siculo katane (“grattugia”, molto probabilmente – e senza troppa metafora – proprio per ricordare l’irta asperità del terreno lavico su cui è stata edificata) e il termine latino catinum (“bacinella”, in ossequio all’altra caratteristica orografica del territorio, ovvero l’essere una piana circondata da dolci rilievi collinari, vulcano escluso, naturalmente…), fondata intorno alla metà dell’VIII secolo a. C. da coloni greci provenienti da Naxos e poi, come tutta l’isola, sistematicamente occupata e dominata dai vari conquistatori che nel corso degli ultimi tremila anni ci hanno dimostrato quanto la Sicilia, piazzata com’è al centro del Mediterraneo, abbia da sempre fatto gola a tutti. Ma dicevamo di Catania, la cui essenza stessa non potrebbe essere neanche immaginata senza considerare il suo alter ego fatto di roccia nera e calore proveniente dal centro della Terra: qui la chiamano semplicemente ‘a Muntagna, ma la si conosce anche come Mungibeddu (etimo che è il frutto dell’unione dei termini Mons, in latino, e Gebel, in arabo, entrambi significanti “montagna” e usati come vicendevoli rafforzativi di ciò che non può essere chiamato con un solo nome, ne servono addirittura due e di uguale concetto, troppo possente e magnetica è la sua presenza). Di cosa stiamo scrivendo? Beh, “semplicemente”, del vulcano attivo più alto d’Europa, un colosso naturalistico unico al mondo, studiatissimo, controllatissimo e dal 2013 addirittura facente parte del Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO: l’Etna, la bocca di fuoco che vanta il maggior numero di leggende e miti che attorno, sopra e dentro di essa sono nati per poi essere narrati e tramandati da tempi immemori.
E a proposito della città etnea, ovviamente, potremmo anche disquisire di molto altro, come per esempio del suo splendido barocco, della sua intrigante geometria urbana, dei suoi tesori archeologici, del suo essere una vera “capitale” culturale e imprenditoriale o del suo Liotru (l’elefante posizionato sulla fontana che domina il centro di Piazza del Duomo), ma in questa sede vorremmo invece approfondire un aspetto di Catania, ahimè, non tanto conosciuto fuori dalla stessa città, ma che merita assoluta attenzione e promozione: il suo street food.
Quindi, bando alle ciance, e immergiamoci subito nel clima delle strade in cui il colore lavico ricorda a ogni singolo passo il rapporto simbiotico della città col suo vulcano, croce e delizia come in tutti i legami d’amorosi sensi. Si parte subito “col botto”, senza lesinare nulla: ecco a voi il Sangeli, ovvero un particolare sanguinaccio caratterizzato da un budello di maiale cotto due volte (nelle caratteristiche quarare), prima da solo e poi – riempito della farcitura composta da sangue dello stesso maiale unito al trito di mandorle, uva sultanina, sale, pepe e cannella – nuovamente bollito fino a farne condensare il ripieno. Dopo di ché, si dovrà far raffreddare, tagliare a fette e servire: se siete amanti del genere, è una leccornia che non dovrete assolutamente lasciarvi scappare.
Continuando il giro dei quartieri catanesi, dal porto fino a quelli meno centrali dell’interno cittadino, si potrebbe proseguire assaggiando una trippa non proprio tradizionale, perché alle falde dell’Etna viene cotta con patate, cipolla e pomodori, in acqua leggermente salata e per ben tre volte, tanto da renderla molto morbida e aromatica. Si segnala anche il Quarumi (da caldume, cioè “pietanza calda”), ovvero viscere di vitello di vario tipo bollite con cipolle, sedano, carote e prezzemolo, e poi servito fumante con sale, pepe, olio e limone. Anche in questo caso, è necessario essere dei cultori, viceversa l’esperienza potrebbe risultare “indimenticabile”, pur consigliandone sempre la prova, giusto per saperne poi discettare. E come non citare in questa succulente carrellata del “cibo di strada” etneo il Zuzzu, ovvero una gelatina ricavata sciogliendo alcune parti “meno nobili” del maiale (cotenna, coda, lingua e orecchie), insaporita con i classici aromi mediterranei e servita o come antipasto o per accompagnare i secondi.
A questo punto però, dopo essersi fermati un attimo a riflettere sul da farsi, è qui necessario riferire ai lettori che la città di Catania vanta un particolare primato a livello nazionale: la più grande ristorazione diffusa all’aperto di tutta Italia. Quindi, dove poteva essere tipico, se non proprio qui, l’arrusti e mancia? Infatti, a ogni angolo troverete un braciere sempre acceso e pronto a soddisfare ogni vostra richiesta di carne “ai ferri”: letteralmente, potrete scegliere il taglio (che spesso avrete la possibilità di vedere proprio appeso di fronte a voi) e dare le vostre indicazioni sulla cottura, al resto penserà il “mastro grillista”. Un suggerimento? Catania è famosa per la sua ampia proposta di carne di cavallo: come la gusterete qui, da nessun’altra parte. A buon intenditor (fine del suggerimento).
E un posto a sé merita poi la Cipuddata, specialità assolutamente tipica di Catania: cuore di cipolletta avvolto all’inizio in una fetta di formaggio “primo sale”, dopo in un’altra di pancetta e infine messo su una griglia rovente. Il risultato? Potrete facilmente immaginarlo, e vi stregherà.
Ma lo street food catanese è anche a base di pesce, considerata l’anima marinara che permea da sempre tutta l’area. Eccovi quindi una ghiottoneria molto particolare, la Sàusa, che consiste in frattaglie di tonno (lingua, occhi, branchie e cartilagini varie) messe sotto sale per un periodo di circa quaranta giorni, bollite e poi lasciate macerare per quarantotto ore in acqua, ghiaccio e limone. Infine, vengono risciacquate e condite con olio, limone, prezzemolo e peperoncino. Non comune da trovare, ma cercarla e assaggiarla ne vale certamente la pena. Così come quello che senza dubbio è il piatto caratteristico “di strada” più antico e singolare di Catania, anzi in questo caso la sua rarità ne ha generato un’aura quasi mitica: il Mauru, un’alga rossa dalle particolari fibre callose e commestibili, che cresce sugli scogli a pochi metri di profondità e che deve il suo sapore alla tipica conformazione chimica della roccia vulcanica. Raccolta, si sciacqua in acqua fredda, si serve con abbondante succo di limone e non c’è sushi che tenga, fidatevi.
E per chi non mangia né carne né pesce? Dunque, l’argomento è un po’ spinoso, perché certamente il vegetariano, tra queste vie, faticherà di più, ma è altrettanto bene che sappia che l’offerta non manca di certo, come la tavola calda col ripieno “alla Norma” o intrisa del Pistacchio di Bronte DOP, assoluta eccellenza del territorio. Piccola (ma fondamentale) avvertenza: ricordatevi che a Catania l’arancino è rigorosamente masculu, quindi “massima attenzione” nell’ordinarlo.
Insomma, da una punta all’altra della Sicilia, il “cibo di strada” regna sovrano. E dire che nasce come pasto povero…
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Si conclude con questo articolo il viaggio di Antonio Fragapane tra le storie e le curiosità legate alla cucina siciliana. Un viaggio molto apprezzato, a giudicare anche dalle visualizzazioni, dai nostri lettori.