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“Genovese”, quando la storia di un dolce diventa leggenda

La cucina siciliana tra storia e curiosità

Antonio Fragapane

La Sicilia è una terra piena zeppa di storie, grandi e piccole, tragiche e a lieto fine, realmente accadute o inventate di sana pianta. E’ certamente un luogo in cui i racconti si nutrono della vita che la stessa isola crea, da sempre. E tra queste vicende, una narra di una bambina di nome Maria che, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, perde troppo presto il padre e si ritrova con la madre che deve all’improvviso accudire sei figli. Ma la mamma di Maria da sola non può farcela e allora decide di darla in affidamento temporaneo alle suore di clausura del Convento di San Carlo che si trova nel suo paese, Erice, splendido e arroccato borgo che dall’alto domina la città di Trapani, il suo porto e il suo mare.

Dentro il monastero, Maria, ragazzina dalla vispa intelligenza e affamata di curiosità, nota che le monache con le quali vive sono molto spesso alle prese con ingredienti e attrezzi da cucina con cui realizzano squisiti dolci, tanto buoni quanto però misteriosi. Non hanno un nome e di queste specialità, dentro le mura di quel luogo religioso, quasi nessuna consorella sa nulla, ancor meno si conoscono le ricette, segretissime e non scritte. Ma Maria è sveglia, parecchio, molto discreta e, soprattutto, “registra” tutti i dosaggi degli ingredienti utilizzati (effettuati, tra l’altro, “a occhio”) e le tecniche di lavorazione.

Passano gli anni, la protagonista della nostra storia cresce ed esce dal San Carlo per vivere la sua vita, ma con un unico obiettivo da raggiungere: aprire una propria pasticceria in cui vendere i dolci che ha visto realizzare in collegio. Facile a dirsi, molto meno a realizzarsi, ma Maria è caparbia e dopo mille prove e sperimentazioni riesce infine a perfezionare la ricetta di quella che ritiene essere la specialità più buona tra quelle preparate dalle suore. Ma il dolce, seppur squisito, non ha ancora un nome, anonimo ma adesso non più segreto.

Ed ecco il preciso istante in cui la nostra storia diventa leggenda. La creazione di Maria, infatti, pare somigli molto al cappello che indossavano i marinai genovesi, “di casa” presso il porto di Trapani, grazie ai ferventi scambi commerciali che le due città di mare hanno intrecciato per secoli. Ma un’altra versione vuole che il nome del dolce in questione fosse addirittura nato come dedica d’amore di una ericina per un abitante della città della Lanterna. Come siano andate effettivamente le cose non è molto chiaro, perché unica depositaria della verità è la stessa Maria, la quale sulla questione però tace da sempre, così alimentando la curiosità sul frutto della sua fatica, che ha – non a caso – chiamato “Genovese” e di cui continua a essere la sola custode della segretissima ricetta.

Nella sua prima versione, quella originale, la Genovese di Maria Grammatico (questo il cognome della nostra protagonista) è un dolce di pasta frolla, spolverata con zucchero a velo, che racchiude al suo interno un ripieno di delicata crema pasticcera. Semplice ma sublime, soprattutto se assaggiata appena sfornata. Ma la bontà della specialità ericina ha da molto tempo varcato i confini della terra degli Elimi, diffondendosi in quasi tutta l’isola, dove infatti sono state concepite delle varianti ormai tipiche dei territori in cui sono nate. Come quella, consigliatissima, con all’interno la crema di ricotta di pecora lavorata con tocchetti di cioccolato fondente, o quella farcita con zuccata e gocce di cioccolato o con crema “bianca” al latte o, molto più rara, col ripieno di confettura di cedro. Tutti ingredienti molto particolari, distintivi delle peculiarità agricole delle diverse zone che rendono, da sempre, la Trinacria un’isola-continente.

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