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Siamo a Sciacca, tra “Ova Murina” e “Cucchiteddi”

La Cucina Siciliana tra storia e curiosità

Antonio Fragapane

Noi gente del terzo millennio, spesso, non ci rendiamo conto di molte cose, le diamo per scontate e non riusciamo ad apprezzarne appieno l’importanza, salvo poi accorgercene immediatamente dopo esserne stati privati. Solo a quel punto, ci rendiamo conto degli agi che, nel tempo in cui viviamo, avvolgono tutta la nostra intera vita. Adesso vi chiederete di cosa stiamo scrivendo, e sarebbe comprensibile, molto.

Dunque, poniamo che – per ipotesi – tutti noi ci si ritrovi a vivere in un’altra epoca, il Seicento per esempio. Fatto? Benissimo. Allora, se così fosse, saremmo senza elettricità, senza acqua corrente, senza cellulari e senza internet. A questo punto, tre quarti di noi staranno già pensando a un terribile incubo, quasi dei peggiori, e vorrà subito svegliarsi e andare altrove a fare ben altro. Il restante quarto, invece, magari vorrà continuare l’esperimento. Quindi, per questi irriducibili, andiamo avanti. Tra le cose che mancherebbero ci sarebbe anche il frigorifero e la possibilità di conservare al fresco (o al gelo) ingredienti o prodotti delicati, come la ricotta. Immaginate allora questo scenario: l’impossibilità, causa gran caldo, di produrla, mangiarla o poterla utilizzare per almeno cinque o sei mesi all’anno. Beh, come incubo non c’è male, e su questo siamo tutti d’accordo. Allora che fare? Semplice, aguzzare l’ingegno e la creatività.

Esattamente ciò che successe, guarda caso proprio nel Seicento, in una ridente cittadina costiera del sud della Sicilia, affacciata di fronte a un tratto di mare da cui oltre duecento anni dopo, all’improvviso, verrà fuori nientemeno che una piccola isola vulcanica (conosciuta come Ferdinandea, ma chiamata anche con molti altri nomi), la stessa che alcuni mesi dopo decise di inabissarsi nuovamente, forse perché il nostro mondo non le piacque affatto, vallo a sapere. Dicevamo, il luogo di cui stiamo scrivendo è Sciacca, celebre in tutto il mondo per la sua lucida ceramica policroma, ma dove all’inizio del XVII secolo, le suore della Badia Grande ebbero una geniale idea, ennesimo notevole esempio di “pasticceria conventuale”. Impossibilitate a sfornare cannoli, per il problemino cui abbiamo accennato poco sopra, concepirono un dolce sostitutivo da preparare solo durante i mesi afosi e di scirocco, quando la ricotta era introvabile ovunque, perché non prodotta. Sostituirono la croccante cialda del cannolo con una crepe il cui impasto conteneva mandorle tostate, cannella in polvere e cacao amaro, e la ricotta con una delicata crema di latte mista a zuccata. Dopo di che, la crepe veniva farcita con questa stessa crema e poi era arrotolata su se stessa fino a comporre una creazione dalla forma cilindrica. Problema risolto, gli squisiti cannoli, allora irreperibili per quasi metà dell’anno, avevano un loro degno (ma certamente non uguale) sostituto, l’Ova Murina, così chiamato perché, almeno secondo una prima ipotesi, i colori di questo dolce assomigliano molto a quelli del pesce murena, che infatti ha una pelle scura e crespa, all’esterno, e una carne bianca, all’interno. Ma esiste anche una seconda versione, secondo cui il nome si deve invece ai saraceni (i Mori, appunto) che importarono sull’isola molti degli ingredienti utilizzati dalle suore per crearne l’innovativa ricetta.

Questa particolare specialità è pure meno conosciuta come Ova rà Bata Ranni, ovvero della “Badia Grande”, anche se a dirla propria tutta, ahimè, oggi è un dolce praticamente (quasi) introvabile nelle pasticcerie di Sciacca, salvo lodevolissime eccezioni che mirano a salvarne la memoria storica e gastronomica. Obiettivo che, a onor del vero, potrebbe essere raggiunto a partire dall’importante riconoscimento che l’Ova Murina già possiede, ovvero la De.C.O (la Denominazione Comunale di Origine) di Sciacca, dichiarazione che certifica l’esclusività tipica e identitaria di una ricetta e di un prodotto all’interno del relativo territorio comunale.

Già all’epoca della loro creazione, l’Ova Murina costituiva il dolce saccense apprezzato e consumato dalle sole famiglie aristocratiche, molto elitario e quindi di non facile reperibilità, proprio come oggi, anche se i nobili sono spariti dalla circolazione da un bel po’ di tempo. E tutti gli altri cittadini, meno abbienti, poveri e poverissimi? Per il popolo c’erano i Cucchiteddi, un’antica specialità dolciaria saccense la cui ricetta risale alla fine del Trecento (1380 circa) e si deve, indovinate un po’, alle suore di clausura del Monastero di Santa Maria dell’Itria, comunemente conosciuto come Badia Grande, complesso religioso dove la “pasticceria conventuale” – come del resto accedeva in molte altre strutture dello stesso tipo sparse per tutto il territorio isolano – divenne la principale fonte di entrate economiche, necessarie per far fronte alle spese dell’edificio e di quante lo abitassero.

Esatto, avete letto bene, le suore cui si deve l’Ova Murina sono le “pronipoti” delle stesse monache che oltre due secoli prima avevano ideato i Cucchiteddi, così chiamati perché a forma di cucchiaio, e costituiti da un involucro di pasta di mandorle, farcito con zuccata (zucchina candita) e poi glassato nella parte superiore: al palato, un’esplosione dal sapore molto dolce, anzi dolcissimo. Oggi ancora molto diffusi e acquistabili in tutte le pasticcerie di Sciacca, è come se avessero mantenuto nel corso dei secoli il loro carattere popolare, quasi confidenziale con i gusti di tutti. E voi avete deciso da che parte stare?!

 

 

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