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La cucina siciliana tra storia e curiosità. “Cubaita”

Camilleri: “Un dolce da guerrieri”. Sciascia: Più buona è quella che ci vuole “il martello per romperla”

Antonio Fragapane

Si narra che ci fu un popolo conquistatore della Sicilia i cui soldati erano soliti portarsi nelle tasche o in altri posti, un particolare tipo di dolce, famoso già all’epoca per essere resistente e praticamente senza scadenza. Con questo e – ovviamente – anche altri equipaggiamenti, affrontavano lunghe traversate in mare, logoranti spostamenti su terra e sanguinose battaglie. I militari protagonisti di questo suggestivo racconto erano i saraceni che nel IX secolo (correva  l’anno 827 dell’era cristiana) sbarcarono nei pressi di Mazara del Vallo, in Sicilia. Ma di cos’era fatto quel dolce per poter avere caratteristiche così uniche? Mandorle tostate, zucchero e miele, semplicissimo. Nutriente a tal punto da essere considerato addirittura un veloce pasto da guerra. Era il “mandorlato”, in arabo pronunciato qubbiat, termine con cui noi lo chiamiamo ancora oggi: Cubaita.

Andrea Camilleri ne elaborò addirittura un Elogio, righe in cui la definì semplice e forte, un dolce da guerrieri, appunto. E un altro immenso siciliano, Leonardo Sciascia, anch’egli grande appassionato di sapori isolani, scrisse che la cubaita più buona è quella che ci vuole il martello a romperla. Ma al di là delle caratteristiche, per così dire, “spartane”, il dolce di cui ci stiamo occupando fa orgogliosamente parte da sempre dell’Olimpo della pasticceria siciliana, in quanto tra i più amati e ricercati in assoluto.

La cubaita a volte è anche chiamata “torrone siciliano”, ma in questo caso lo sbaglio è enorme, perché non di torrone si tratta (per ingredienti, preparazione, consistenza e gusto) bensì di uno squisito “croccante”. Come già scritto, la ricetta originale araba prevede infatti solo l’uso di mandorle, zucchero e miele, componenti che rientrano nel novero di quelli importati sull’isola dai saraceni, ma nel corso dei secoli – si consideri che tale tecnica di preparazione ha più di millecinquecento anni – sono state concepite varianti molto particolari e tipiche di alcuni territori. Come la Giuggiulena (termine anch’esso di origine araba, da gulgulan, ovvero “seme di sesamo”), che è caratterizzata dalla presenza, appunto, del solo sesamo tostato al posto delle mandorle e che, unito sempre a zucchero e miele, crea un altro e diverso croccante dal sapore molto particolare e accattivante.

Gli arabi, per meglio governarla, divisero la Sicilia in tre Valli (Val di Mazara, Val di Noto e Val Demone), con la Cubaita e la Giuggiulena si finì con lo scomporla in due parti, occidentale e orientale, in cui le mandorle dominavano dove il sole la sera tramonta e il sesamo imperava laddove, invece, al mattino sorge. Amministrare i gusti è una cosa seria, ci vuole metodo e dedizione.

Ma, ovviamente, non ci si fermò qui, perché man mano che i due croccanti iniziarono a essere conosciuti e consumati, ne venne fuori un’altra variante, stavolta ancora più compatta, quasi granitica, tanto da determinarne anche il significativo nome: la Petrafennula. Etimologicamente deriva dal latino petra findula (“pietra che può rompersi”), ed è caratterizzata dall’aggiunta di scorze di cedro o arance, unite a mandorle, zucchero e miele. Fino a qualche decennio fa era tipica della pasticceria di Modica, ma oggi è purtroppo (e ingiustamente) pressoché scomparsa dalle vetrine e dalle tavole nostrane.

Adesso penserete che tre tipologie di croccanti possano bastare per la cultura dolciaria di una sola regione. E invece no, figuriamoci, perché le varianti sul tema continuano, anche se i nomi sono sempre quelli di cui ci stiamo occupando. Non poteva mancare, infatti, l’innesto del pistacchio, pianta che in Sicilia non solo dà il meglio di sé, ma della cui introduzione sull’isola ringraziamo ogni giorno. E poi le nocciole, orgoglio tutto madonìta, la cui produzione è adesso un nostro fiore all’occhiello. Fino all’utilizzo di un ingrediente che in Trinacria davvero non vi aspettereste, venuto da molto lontano ma ormai “cittadino del mondo”: le arachidi. E poi, addirittura, variante delle varianti, ne esiste anche una composta da tutta questa frutta secca amalgamata insieme. Quindi immaginate un croccante che, grazie all’azione unente dello zucchero e del miele, permetta di mordere contemporaneamente pistacchi, mandorle, nocciole e arachidi, ingredienti dal sapore zuccherino associati a quelli dal retrogusto un po’ amaro. Il risultato? Provatelo, punto.

La tradizione vuole che la Cubaita sia un dolce che si prepari e si consumi nel periodo natalizio. Giusto, la tradizione a tavola detta sempre legge. Ma chi siamo noi per impedire che si possano ammettere eccezioni anche durante tutto il resto dell’anno?!

 

 

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