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Arancino o arancina? Qui la sciarra è dietro ogni virgola

Sicilia gastronomica. Una nuova rubrica di Antonio Fragapane. Ogni venerdì su Malgrado tutto

Antonio Fragapane

Arancino o arancina? Qui la sciarra è dietro ogni virgola, nascosta sotto ogni parola delle prossime righe.

La vexata quaestio in terra sicula per eccellenza, tra il serio e il faceto (più spesso operante il primo, che il secondo), soprattutto se, all’interno di una tipica rosticceria dell’isola, si dovesse sbagliare genere, dimenticando in quale parte della Sicilia ci si trovi.

Intanto, ci piace sempre collocare il discorso nella storia, perché tutto ciò che siamo – e mangiamo – lo dobbiamo al nostro passato: i saraceni (che per tre secoli governarono in Sicilia) erano usi banchettare collocando al centro della loro tavola un grande vassoio colmo di riso aromatizzato allo zafferano, da cui gli ospiti presenti erano invitati ad attingerne una certa quantità da appallottolare nel pugno della mano, riempire con carne (rigorosamente d’agnello), richiudendo poi il tutto e gustando beatamente. E la croccante panatura fritta e dorata? Successiva, forse addirittura attribuibile a un’intuizione di Federico II, lo Stupor mundi che, pare, ne fosse ghiottissimo e che così ne potè gustare sempre il sapore, anche durante le sue celebri – e lunghe – battute di caccia.

Dunque, adesso,  per non incappare in un sicuro linciaggio, sembrerebbe che la delicatissima (e spinosissima) controversia debba essere posta in questi precisi termini, rigorosi e semantici: è “arancina” perché è a forma di arancia, il frutto, se si volesse seguire la via dell’uso della lingua italiana, quindi fimmina (alla palermitana) sarebbe giusto.

Ma sarebbe altrettanto giusto pure masculu (alla catanese), quindi “arancino”, perché è a forma di “aranciu”, sempre il frutto, declinato al maschile, volendo stavolta seguire la strada della lingua siciliana.

È evidente che da questa situazione non se ne esce tanto facilmente, anzi, tutt’altro.

Ecco, l’ho scritto, chi scantu! Attirandomi, in tal modo, le certissime scomuniche di mezza Sicilia, da una parte, e dell’altra mezza, dalla parte opposta, adesso vengo al dunque.

Che sia femmina o che sia maschio, il nostro bel quarto di chilo di riso con croccante patina fritta del colore del sole, ha la forma e il cuore che batte su due fronti: perfettamente sferica, dall’anima rossa del ragù più prelibato, o sorprendentemente conica, dall’anima bianca della mozzarella più candida (tranne a Catania, dove se è “a punta” è con la carne, ma tant’è).

E questa è l’Accademia. Dopodichè, in giro per la Trinacria, potrete trovare i ripieni più innovativi (al nero di seppia) e gli abbinamenti più intriganti (“alla Norma”, ma con melanzane fritte e spaghetti tagliati), e anche una originale (e rara) forma cubica. Ma questa è tutta un’altra storia.

 

 

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